Libia: fiducia al nuovo governo nonostante dubbi e fantasmi

I rappresentati libici riuniti a Ginevra nell’ambito del Libyan Political Dialogue Forum (anche noto con l’acronimo Lpdf) lo scorso 5 febbraio hanno nominato un governo transitorio con lo scopo di portare il paese nordafricano alle elezioni nazionali previste per il prossimo 24 dicembre, dopo oltre un decennio di caos e devastazione. Il voto dello scorso febbraio ha visto la nomina di un premier e di un Consiglio presidenziale composto da tre personalità rappresentanti delle tre grandi regioni che compongono la Libia (Tripolitania, Cirenaica e Fezzan). La lista che ha prevalso ha portato alla nomina di Abdul Hamid Dbeibah alla carica di Primo ministro ad interim. A capo del Consiglio presidenziale è stato eletto Mohammad Younes al-Menfi, che sarà affiancato da Moussa al-Koni e Abdallah Hussein al-Lafi.

Il risultato di Ginevra è per molti versi inaspettato e appare come una scelta di compromesso rispetto alla lista favorita – che vedeva al suo interno figure del calibro di Aguila Saleh, l’influente presidente del Parlamento di Tobruk, e Fathi Bashagha, il potente ministro dell’Interno del Governo di Tripoli – che appariva forse eccessivamente dominata dalle due principali fazioni in lotta nel paese.

La comunità internazionale ha espresso forte soddisfazione per il traguardo raggiunto, e da tutti i paesi sono arrivati messaggi di congratulazioni per il nuovo governo. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan si è congratulato con i leader del governo ad interim in una telefonata, in cui ha dichiarato che “la Turchia continuerà i suoi sforzi per l’unità politica, l’integrità territoriale, la stabilità, la pace, la sicurezza e la prosperità in Libia e rafforzerà ulteriormente la sua cooperazione con il paese nordafricano nel nuovo periodo”. I governi di Francia, Germania, Italia, Regno Unito e Stati Uniti  hanno accolto positivamente l’accordo raggiunto, definendolo come un passo fondamentale verso il raggiungimento di una soluzione politica negoziata e inclusiva. Anche l’Egitto ha accolto con favore i risultati di Ginevra, sostenendo la sua volontà di lavorare con l’autorità libica fino al passaggio del potere al governo eletto previsto per dicembre.

Abdul Hamid Dbeibah il nuovo Primo ministro ad interim della Libia. Fonte: Laranews.

Il 10 marzo l’esecutivo di Dbeibah ha ricevuto la fiducia alla Camera dei Rappresentanti in una sessione, durata tre giorni, svoltasi a Sirte. Il nuovo governo ha ricevuto 132 voti a favore. Nel suo discorso di accettazione Dbeibah ha affermato la necessità del sostegno parlamentare per poter lavorare per il bene del paese, soprattutto in vista dell’approvazione del bilancio annuale e del referendum costituzionale. Questo successo pone fine all’esperienza del Governo di accordo nazionale di Tripoli, guidato da Fayaz al-Serraj. Con l’obiettivo di rallentare lo sviluppo degli eventi, alcuni membri parlamento rivale con sede a Tobruk avevano sollecitato il rinvio della sessione parlamentare fino a quando il gruppo di esperti delle Nazioni unite non avesse pubblicato il rapporto sulle accuse di corruzione che in questi ultimi giorni hanno visto protagonista lo stesso Dbeibah e lo svolgimento delle elezioni che lo hanno premiato. Complicazioni si sono incontrate anche con la lista dei ministri presentati da Dbeibah, non accettata completamente da buona parte dell’organo parlamentare e dal suo presiedente Aguila Saleh.

Analogamente al Governo di accordo nazionale che lo aveva preceduto, il nuovo Governo di unità nazionale (anche noto come Government of National Unity, o Gnu) dovrà affrontare molte sfide. In primo luogo, la sua elezione è avvenuta con 39 voti favorevoli sui 74 totali (il 53 %), una maggioranza molto ristretta, anche se questo non gli ha impedito di ottenere un’ampia maggioranza in parlamento. Quest’ultimo “traguardo” sembra essere stato raggiunto grazie all’accordo Dbeibah-Saleh sulla sostituzione di alcuni ministri all’interno della nuova squadra governativa. In secondo luogo, come accennato precedentemente, la scelta di tale lista è parsa più come un’operazione volta a impedire la vittoria della lista favorita.  La coalizione di voti che ha spinto le nuove figure al potere (transitorio) proviene dall’intero spettro politico del paese, ma per figure come Khalifa Haftar, l’esistenza di un governo debole e poco rappresentativo potrebbe essere un buon risultato, viste le premesse e l’esito del conflitto armato. Data la durata limitata del mandato, il nuovo governo dovrebbe godere della legittimità necessaria per supervisionare le elezioni, mantenendo il suo programma di lavoro incentrato su piccoli passi e indirizzato al miglioramento delle condizioni di vita del popolo libico. 

Il nuovo Consiglio presidenziale ha come obiettivo principale il lancio di un programma chiaro e deciso di riconciliazione nazionale. Ci sono alcuni compiti, come riduzione della contrapposizione fra le forze politiche in campo, che senza ombra di dubbio richiederanno più tempo e un’azione diplomatica molto intensa. La strada da percorrere è impegnativa. Il fallimento del precedente accordo politico libico del 2015, nonostante l’entusiasmo generato all’epoca della sua firma, è un precedente che crea non poche apprensioni. Non sorprende dunque che l’attuale processo politico abbia attirato molte critiche negative. Tuttavia, nonostante i rischi di fallimento insiti nell’attuale percorso, la cornice Onu che ha portato all’accordo dei giorni scorsi, sembra l’unica strada possibile per non far chiudere la finestra di opportunità più promettente che la Libia si è trovata davanti negli ultimi dieci anni – ad esempio la combinazione di diversi fattori positivi come il cessate il fuoco raggiunto lo scorso 23 ottobre a Ginevra, il ritorno delle esportazioni petrolifere ai livelli precedenti alla guerra civile e una popolazione che desidera ardentemente la pace.

Stephanie Williams annuncia la vittoria dei candidati. Fonte: Unsmil.

I negoziati promossi dalle Nazioni unite, nell’ambito del Lpdf, hanno chiaramente evitato tutti i problemi più spinosi esistenti tra le fazioni in conflitto: dalla questione di un esercito unificato in grado di garantire sicurezza sull’intero territorio alle responsabilità per i crimini contro la popolazione commessi durante tutti questi anni di conflitto civile. Un accordo per unificare il comando sulle formazioni armate libiche è sostanzialmente impossibile. La sfiducia e le spaccature create durante gli ultimi anni di guerra sono profonde e quasi insanabili. Milizie e gruppi armati fedeli a Tripoli non possono accettare un ruolo di primo piano della rivale Libyan National Army e del suo leader Haftar in un futuro esercito nazionale. Allo stesso modo, per Haftar – l’uomo forte della Cirenaica – la rivendicazione di una leadership sull’esercito rimane non negoziabile.

Uno degli aspetti più importanti degli allineamenti attorno al nuovo esecutivo sarà proprio la posizione di Haftar, le cui forze  ancora oggi controllano la Libia orientale. Il capo del nuovo Consiglio – Mohamed al-Manfi, esponente della Cirenaica considerato molto vicino ai gruppi islamisti – non ha né sostenuto Haftar né tagliato i legami con lui. La visita di al-Manfi a Bengasi e il suo incontro con il leader della Lna ha confermato la chiara apertura dell’establishment militare alla nuova autorità esecutiva eletta Ginevra. Anche il primo ministro Dbeibah è sufficientemente opportunista da non escludere compromessi con l’uomo forte della Cirenaica. Allo stesso tempo Haftar, nonostante abbia dichiarato il proprio sostegno al nuovo governo di transizione, non può permettersi di accettarne completamente l’autorità: dal suo punto di vista è infatti di vitale importanza mostrare di avere dei nemici nella Libia occidentale, per mantenere il controllo sull’est del paese. Il feldmaresciallo potrebbe mantenere un atteggiamento ambivalente nei confronti del nuovo corpo politico, virando occasionalmente verso un’aperta ostilità e sfruttando al massimo le opportunità offerte dalla nuova struttura.

Un’altra questione controversa è rappresentata dalla provenienza della maggior parte dei partecipanti all’Lpdf di Ginevra. Molti erano – e rimangono – membri dei due parlamenti rivali, mentre altri sono stati scelti dall’Onu nel tentativo di garantire una rappresentanza inclusiva di particolari intermediari o fasce elettorali, o perché vicini ad alcune delle potenze straniere coinvolte nel conflitto. Tuttavia sul territorio, e in particolar modo tra le milizie che da anni hanno sostanzialmente preso il controllo del paese, il forum di Ginevra viene visto come un gruppo di politici con chiare mire espansionistiche personali e poca legittimità o influenza sul popolo.

Come già osservato, Dbeibah e i suoi compagni di lista hanno vinto non perché hanno attirato un forte sostegno tra i partecipanti del forum, ma perché molti di questi hanno cercato, riuscendoci, di non far trionfare i loro “nemici”. Invece di avere i protagonisti della guerra civile appena “conclusa” alla guida di un nuovo governo di unità nazionale, la maggioranza dei delegati ha optato per sostenere un gruppo che sembrava più disponibile e aperto ad altri possibili scenari. Un esempio: Dbeibah ha ottenuto il sostegno di politici e milizie di Tripoli e Zawiya che erano in cattivi rapporti con il ministro Bashagha. La mancanza di una base forte e di un’affiliazione politica radicata potrebbe consentire alla squadra vincente di accogliere una gamma più ampia di fazioni, inclusi alcuni dei perdenti del processo. Ma questo non significa che il nuovo esecutivo possa trascendere le divisioni libiche. 

Un’immagine dal Libyan Political Dialogue Forum. Fonte: Unsmil.

Più in generale, il fatto che il processo negoziale non abbia prodotto una convergenza politica significativa è sintomatico della persistenza delle divisioni interne. Durante il suo breve mandato, Dbeibah incontrerà probabilmente gli stessi problemi che hanno afflitto il precedente Gna di al-Serraj. La tabella di marcia dell’Lpdf si basa sul ruolo fondamentale della Camera dei rappresentanti per sostenere il nuovo governo di unità nazionale. Mediare il consenso all’interno del forum potrebbe essere un’impresa altrettanto complicata ma non impossibile: senza la buona volontà di tutti sarà molto difficile per il nuovo governo accontentare le richieste di tutti gli attori in scena. Il presidente del suo ramo orientale, Aguila Saleh, dopo la sconfitta subita a Ginevra probabilmente porrà delle condizioni per sostenere il nuovo governo durante tutto l’incarico. Sia per Saleh che per Haftar, il mantenimento dell’influenza sulla parte orientale del paese sarà utile per limitare l’azione del nuovo esecutivo. Ma anche a Tripoli la competizione tra fazioni all’interno delle istituzioni statali (anche negli apparati di sicurezza) e le rivalità fra alcuni dei politici più potenti potrebbero alimentare tensioni e rendere difficile la transizione in corso.

Per far sì che il Gnu ottenga quel successo che i suoi predecessori non sono riusciti a ottenere, la comunità internazionale dovrà impedire che si ripetano le dinamiche viste dal 2016 in poi, impedendo ad esempio che Haftar e gli altri oppositori del processo di riconciliazione ricevano un sostegno significativo da attori esterni. La comunità internazionale – e in particolare non solo la nuova amministrazione statunitense, ma anche l’Unione europea – dovrebbe coordinare il proprio approccio per sostenere gli sforzi delle Nazioni unite, impegnandosi con e per il popolo libico. Senza il “sostegno attivo” dei principali Stati che sponsorizzano gli attori locali libici, nessun processo politico potrà riuscire a far raggiungere quella stabilità che manca da fin troppo tempo.

Resta anche da vedere se i vari gruppi armati, sia nella Libia occidentale che in quella orientale, rispetteranno effettivamente i risultati politici fin qui ottenuti. Inoltre, nell’ambito dell’accordo di cessate il fuoco dello scorso ottobre, combattenti stranieri e mercenari avrebbero dovuto lasciare il paese entro tre mesi. Il tempo è scaduto, ma sul campo nulla sembra essere cambiato.

Mario Savina