Con l’emergenza data dal COVID-19 e le conseguenti misure di quarantena nel mondo, sono cresciute le categorie più vulnerabili e che soffrono di più rispetto ad altri settori della popolazione – come le donne, gli immigrati e i lavoratori informali. In particolare, le donne si trovano già in una condizione difficile poiché generalmente guadagnano di meno e dunque risparmiano anche meno rispetto agli individui di genere maschile. Questi fattori, in momenti come la crisi economica seguita all’emergenza Covid-19, portano le persone a dipendere ancora di più da lavori insicuri e di conseguenza a vivere in uno status sociale fragile e di povertà.
D’altra parte, con i servizi sanitari spesso sovraccarichi, il lavoro di assistenza non retribuito, prevalentemente affidato proprio alle donne, è aumentato. Si pensi ad esempio alla cura dei bambini che non vanno a scuola o all’assistenza per gli anziani. Oltre alla sofferenza e allo stress economico e sociale, il lockdown ha causato anche l’aumento dei casi di maltrattamenti e di violenza contro le donne che ora hanno molte più difficioltà ad accedere ai servizi sociali e di supporto. La situazione è peggiore nei paesi in via di sviluppo, dove la maggioranza dell’occupazione femminile – circa il 70% – si trova nell’economia informale, con poche protezioni contro il licenziamento, senza il congedo per malattia retribuito e con un accesso limitato alla protezione sociale. Questi lavori spesso dipendono dallo spazio pubblico e dalle interazioni sociali, che ora sono limitate per contenere la diffusione della pandemia.
L’Iran è stato uno dei primi paesi colpiti dalla pandemia di coronavirus, registrando i primi casi nel mese di febbraio 2020, e attualmente sta soffrendo a causa delle serie carenze strutturali dell’economia del paese e delle sempre più dure sanzioni economiche imposte dagli Stati Uniti a partire dal 2018. Un paese che ha cominciato il suo nuovo anno con una forte inflazione, registrata nel 2019 al 41%, si trova ora a dover rispondere alle nuove esigenze sanitarie ed economiche legate all’emergenza del COVID-19.
Finora, nessun resoconto accurato sul tasso di disoccupazione dovuto alla crisi di coronavirus è stato pubblicato dai vari settori dell’economia iraniana. Ali Rabiee, il portavoce del governo di Teheran, ha annunciato in una nota ai media iraniani a metà aprile che durante l’emergenza coronavirus sono aumentati “la disoccupazione e i licenziamenti per milioni di persone. Quasi 3,3 milioni di dipendenti regolari del paese sono direttamente a rischio. Più di 1,5 milioni di luoghi di lavori formali e informali sono stati chiusi. Quattro milioni di lavoratori informali nel paese sono a rischio di riduzione di reddito o di perdita del lavoro. Più di 12 milioni di lavoratori sono impiegati nel settore dei servizi, e gli effetti iniziali della disoccupazione sono evidenti in 10 settori che sono stati immediatamente chiusi a causa dello scoppio dell’epidemia”.
Come la maggior parte dei paesi in via di sviluppo, anche in Iran le donne sono considerate più vulnerabili come categoria sociale rispetto agli uomini, in particolare in campo lavorativo. Le donne contribuiscono significativamente nei settori, sanitari, assistenziali, produttivi ed educativi, ma molto meno nelle posizioni dirigenziali e di alto livello. Masoumeh Ebtekar, vicepresidente per le donne e la famiglia, riferendosi alla crescita della percentuale di donne nelle posizioni di governo negli ultimi tempi, ha notato che “le donne occupano solo il 20% delle posizioni esecutive, mentre il 52% degli studenti universitari sono donne, e che quindi bisognerebbe rendere disponibili maggiori possibilità per una loro partecipazione più attiva nel settore lavorativo di alto livello”.
Le analisi sul mercato del lavoro in Iran mostrano che le donne continuano a incontrare maggiori ostacoli all’accesso al lavoro formale e ciò le spinge a rivolgersi al mercato del lavoro informale. I dati ufficiali dimostrano che per quanto riguarda la popolazione occupata, l’81,8% è rappresentato da uomini e il 18,2% da donne, molte delle quali sono capofamiglia. Gli esperti prevedono un incremento di questa tendenza nell’era post-coronavirus. Tuttavia, a causa della mancanza di dati, queste statistiche non indicano in maniera affidabile la situazione reale delle donne nel mercato del lavoro e appare ragionevole ritenere che il loro tasso di disoccupazione sia decisamente superiore rispetto a quanto riportato dalle statistiche ufficiali.
L’epidemia di coronavirus rappresenta anche una grande sfida per le economie del mondo e in molti casi i datori di lavoro sembrano intenzionati a compensare le perdite di questo periodo a spese dei propri dipendenti e impiegati. Il disagio per i lavoratori può manifestarsi ad esempio con una riduzione dei salari o con forme di lavoro che non prevedono un salario minimo o un’assicurazione. Il governo iraniano ha promesso di pagare un’indennità di disoccupazione ai lavoratori che hanno perso il lavoro in questo periodo – ma tale assicurazione non interesserà tante donne, come spiega Mahnaz Ghadirzadeh, attivista per i diritti delle donne ed esperta di relazioni sindacali: “Non solo le donne che si guadagnano da vivere con l’artigianato in varie località, e che vediamo tutti i giorni, ma anche una parte significativa delle donne che già lavorano, diventeranno disoccupate e non potranno ottenere un’indennità di disoccupazione. Sappiamo che ci sono molte donne che lavorano tramite i cosiddetti contratti di ‘comune accordo’. Questa condizione riguarda ad esempio le segretarie degli studi medici, le addette ai servizi, o le impiegate di uffici privati. In molti casi queste lavoratrici ricevono come stipendio mensile meno di un milione di toman e non hanno assicurazioni” (nel 2019 il salario mensile era di 1,516,882 toman, pari a quasi 100 euro). Per vari motivi le donne accettano questa situazione più frequentemente rispetto agli uomini, ad esempio perché sono coperte dall’assicurazione dei loro mariti, il che rende più facile sostenere situazioni lavorative prive di assicurazione o non in grado di garantire un reddito discreto. Queste forme di impiego informale sono in ogni caso più favorevoli rispetto ai casi delle donne che lavorano tradizionalmente da casa e non hanno possibilità di gestire la vendita dei prodotti e le loro entrate. Questa situazione di forte disagio potrebbe peggiorare significativamente a causa dell’emergenza coronavirus.
La situazione della forza lavoro in Iran è peggiorata negli ultimi anni e la società civile, gli attivisti e le organizzazioni e dei lavoratori hanno ripetutamente protestato contro i bassi salari, dichiarando che, anche se i salari minimi e i sussidi minimi vengono rispettati, i lavoratori dipendenti dovranno ancora affrontare molti problemi economici. Ma la loro preoccupazione è che sarà ancora più difficile lottare per questi diritti con l’emergenza del Covid-19. Come in tanti altri paesi, il governo iraniano e i fondi previdenziali hanno promesso un risarcimento. Se le promesse saranno mantenute, ci saranno tuttavia forme di compensazione solo per i settori regolari dell’economia e i numerosi lavoratori informali non saranno presi in considerazione. Considerando inoltre l’instabilità economica del paese e l’inflazione attuale, il salario minimo compenserebbe solo un terzo delle esigenze dei lavoratori regolari.
Sin dai primi giorni dall’esplosione dell’epidemia nel paese, Ebtekar ha menzionato la necessità di attuare varie misure in tre aree – la cooperazione con organi esecutivi, la cooperazione con organizzazioni non governative e misure organizzative. Tra le proposte figurano l’idea di creare nuove opportunità di lavoro nella produzione di detergenti e attrezzature per la protezione della salute personale con la collaborazione dei Ministeri dell’Interno, delle Cooperative, del Lavoro e del Benessere Sociale; la possibilità di concludere contratti per fornitori ospedalieri nella provincia del Golestan sotto il coordinamento di Jahad-e Daneshgahi e in collaborazione con la Camera di commercio, il Ministero dell’Industria e il Ministero dell’Agricoltura; infine l’intento di porre una maggiore attenzione sulla situazione economica delle donne capofamiglia.
L’apertura delle attività commerciali considerate “a basso rischio” e dei parchi pubblici è stata decretata alla fine del mese di aprile – nonostante il fatto che i contagiati da coronavirus aumentino ogni giorno. Tutto ciò potrebbe portare il paese verso una crisi sanitaria ancora più grave. Ma il mese del Ramadan, con le sue pratiche sociali e religiose, potrebbe causare la riduzione delle attività nei luoghi pubblici, una probabile diminuzione degli spostamenti e la possibilità di un controllo maggiore della diffusione del virus. Ad oggi – 5 maggio 2020 – i malati infettati risultano essere 98.647 e i deceduti 6.277 nonostante la chiusura dei luoghi di culto, delle scuole, delle università, dei ristoranti e dei centri culturali.
Shirin Zakeri