Libia: la complessa strada per le urne

Gli ultimi mesi sembrano aver complicato ulteriormente il cammino della Libia verso le elezioni programmate per il prossimo 24 dicembre. Il conflitto, mai del tutto risolto, tra il Governo di unità nazionale (Gnu) e la Camera dei Rappresentanti (HoR) sta minacciando il programma dell’Onu di stabilizzare definitivamente la Libia ed evitare il riaccendersi del conflitto tra oriente e occidente. Oltre alle controversie regionali, rimane sempre aperta la questione dei mercenari e dei militari stranieri presenti sul territorio, nonostante le continue richieste da parte della comunità internazionale di lasciare il paese. La loro presenza è causa di ulteriore crisi nella già complessa situazione. A conferma del difficile momento, qualche settimana fa è arrivata anche la sfiducia da parte dell’HoR al Gnu, guidato dal premier Abdel Hamid Dbeibah, con 89 voti sui 113 presenti, lasciando al governo transitorio un ruolo di semplice “custode” fino alla tornata elettorale. Il voto è stato criticato e non accettato né dal Gnu né dall’Alto consiglio di stato (Hcs), il Senato libico. Lo stesso Dbeibah, pochi giorni dopo la sfiducia, è sceso in piazza chiedendo il sostegno del popolo in questa delicata e difficile fase. Tuttavia, questo passo non ha avuto e non avrà alcun impatto tangibile sui doveri del governo, poiché il suo compito principale era e rimane quello di preparare le elezioni presidenziali e parlamentari, secondo la roadmap fissata dalle Nazioni unite.

Immagini del voto del luglio 2012 a pochi mesi dalla caduta di Gheddafi. Fonte: Pri.org

L’attuale transizione postbellica della Libia ha suscitato diverse aspettative ed è stata recentemente definita la “migliore opportunità” in decenni “per gettare le basi per una società democratica stabile” dal consigliere del Dipartimento di Stato americano Derek Chollet durante una visita a Tripoli. Pochi giorni fa l’HoR ha approvato la legge elettorale per le elezioni legislative che dovranno svolgersi 30 giorni dopo quelle presidenziali in programma per il 24 dicembre. La questione delle elezioni parlamentari e presidenziali è stata al centro anche dell’incontro avvenuto in Marocco tra i rappresentanti dell’Hcs e dell’HoR. Nonostante i buoni propositi e il clima positivo, le due delegazioni non sono riuscite a raggiungere l’accordo per una formula condivisa in merito alle elezioni presidenziali. La tensione tra le due parti è dovuta principalmente all’approvazione di una controversa legge elettorale da parte del parlamento di Tobruk. La legge, che favorisce la candidatura di personaggi del calibro del generale Khalifa Haftar, sarebbe passata, secondo l’Hcs, senza voto legale o consenso minimo. Da qui la richiesta di un rinvio delle elezioni. In quello che appare come uno scontro di diritto, però, la guerra per il potere è più che evidente. La complessa struttura istituzionale libica – frutto di oltre dieci anni di turbolenze e accordi tra le fazioni in conflitto – è alla base della debolezza del Gnu e del suo premier. Tale fragilità ha spinto il presidente dell’HoR ad approvare la legge elettorale tanto discussa, nella quale viene concesso anche ai militari di potersi presentare alla corsa per la presidenza, a condizione di essersi ritirati dalla loro funzione almeno tre mesi prima delle elezioni.

Il premier del Gnu AbdulHamid Dbeibah in Piazza dei Martiri dopo il voto di sfiducia dell’HoR. Fonte: LibyanExpress

Haftar, capo dell’Esercito nazionale libico (Lna), ha immediatamente lasciato il suo ruolo così da poter avere semaforo verde alla presentazione della sua candidatura. Un’elezione del feldmaresciallo appare alquanto improbabile dopo il conflitto di 18 mesi che lo ha visto protagonista assoluto. Nonostante il suo carisma e potere, molti gruppi al suo comando negli ultimi mesi si sono ribellati e hanno silenziosamente abbandonato la loro posizione nell’Lna. Lo stesso capo del Parlamento, Aguila Saleh Issa, ha deciso nei giorni scorsi di autosospendersi dalla sua attuale carica per concorrere alle presidenziali. A queste due figure, va aggiunta anche la posizione di Dbeibah. Secondo alcuni osservatori, l’imprenditore misuratino sta tentando di costruire una base popolare che gli permetta di rimanere  al comando in caso di un rinvio delle elezioni. Le decisioni di finanziare con cinquemila dinari libici i giovani che vogliono sposarsi e aumentare i salari degli insegnanti vanno in questa direzione. Altri possibili candidati potrebbero essere l’ex ministro dell’Interno del Governo di accordo nazionale (Gna), Fathi Bashaga, e il figlio di Moammar Gheddafi, Saif al-Islam. Il primo, molto legato ai Fratelli musulmani, gode in un’ampia influenza nell’ovest del paese, in particolar modo a Misurata, sua città di origine. Dopo anni di clandestinità, anche il figlio del qaid dovrebbe candidarsi per la guida del paese nordafricano. In tutto ciò, la Libia deve ancora dotarsi di una Costituzione che possa stabilire in maniera definitiva le competenze dei vari organi e aiutare a risolvere le controversie tra i diversi poli. Il “nuovo” Parlamento – quello uscente delle prossime elezioni – avrà infatti il compito di organizzare un referendum entro un anno per l’approvazione della carta costituzionale.

L’altra grande questione da risolvere rimane la presenza delle forze straniere nel paese. L’Unsmil ha affermato che la Commissione militare congiunta JMC5+5 – composta da cinque rappresentanti per le due parti – ha firmato, alla fine di tre giorni di incontri a Ginevra, un accordo iniziale di ritiro “graduale ed equilibrato” dei combattenti stranieri e dei mercenari presenti nell’ex colonia italiana. L’influenza di Ankara e Mosca in Libia è ancora troppo evidente. Secondo le Nazioni unite, nel paese sono presenti oltre 20mila mercenari e militari stranieri provenienti da Turchia, Russia, Sudan e Ciad. Per l’Onu, la  loro rimozione  è uno dei punti chiave dell’accordo di cessate il fuoco firmato lo scorso ottobre, che ha aperto la strada alle elezioni nazionali. Ma finora nulla è cambiato sul campo. Tuttavia, bisogna ammettere che la loro presenza ha anche un aspetto positivo: non ci sono stati scontri importanti nella regione di Tripoli o nei dintorni di Sirte; il cessate il fuoco ha tenuto, anche se la situazione al sud, nella regione del Fezzan è decisamente più instabile.

Nonostante la dichiarazione di pochi giorni fa della ministra degli Esteri, Najla al-Mangoush, sull’inizio della partenza dei militari stranieri dalla Libia, ad oggi appare complicato immaginare una Libia senza tale presenza nel breve periodo. Il motivo è chiaro: fondamentalmente non c’è nessuno che assicuri l’attuazione degli accordi di pace sul campo e, al contempo, il ruolo dell’Unsmil rimane molto debole. Fin quando non avverrà l’unificazione istituzionale, con conseguente dotazione di una struttura militare centralizzata, la presenza straniera sembra essere indispensabile per entrambi i fronti e per il mantenimento del cassate il fuoco.

Mercenari stranieri presenti in Libia. Fonte: Libya Observer

Il processo di pace in Libia rimarrà complicato. I grandi problemi strutturali del paese – su tutti, unificazione istituzionale, Carta costituzionale e apparato militare e di sicurezza centralizzato – necessitano di tempo per essere risolti e lo svolgimento delle elezioni potrebbe essere solo un punto di partenza, ma comunque importante e necessario. Anche se le elezioni si svolgeranno come da calendario, il voto andrà liscio e non ci sarà nessuna contestazione, la strada da percorrere per una vera stabilizzazione del paese sarà ancora lunga. Tuttavia, in uno scenario come questo appena descritto, l’aspetto positivo riguarda la sicurezza regionale, che ne gioverebbe nell’immediato futuro, e lo sviluppo delle relazioni tra i paesi vicini e la Libia: questo favorirebbe una ripresa economica di tutti. I paesi del Maghreb continueranno a perseguire i propri interessi attraverso i legami con la Libia. Il governo tunisino cercherà probabilmente di firmare ulteriori accordi relativi al commercio e al turismo, tenendo d’occhio i potenziali accordi energetici in futuro. L’Algeria rimarrà sempre preoccupata per la potenziale minaccia alla sicurezza che potrebbe derivare dalla Libia se il processo di pace dovesse fallire, ma tenterà di potenziare i legami con Tripoli. Il Marocco punterà ad affermare il proprio ruolo di mediatore. Infine, l’Egitto di al-Sisi potrà sfruttare gli accordi già firmati con il Gnu, guadagnare dalle relazioni economiche e risolvere il problema della sicurezza sul confine occidentale.

Mario Savina