BRICS+ e mondo arabo: il ruolo dei Paesi del Golfo e il caso saudita

Negli ultimi anni il BRICS+ ha acquisito un ruolo di crescente rilievo nell’arena internazionale. Questo raggruppamento – delineato nel 2001 dall’analista Jim O’Neill in un rapporto per la banca di investimenti statunitense Goldman Sachs – comprendeva originariamente il Brasile, la Russia, l’India e la Cina. Questi Paesi, identificati dall’acronimo BRIC, hanno progressivamente consolidato e formalizzato le loro relazioni, dando vita al blocco attualmente noto come BRICS+ che riunisce i principali Paesi emergenti (Brasile, Cina, India), potenze regionali come Sudafrica, Egitto, Iran, Etiopia e Russia e alcune ‘petromonarchie’ come gli Emirati Arabi Uniti e potenzialmente l’Arabia Saudita. Sorto come piattaforma di cooperazione tra economie emergenti, il raggruppamento si è progressivamente affermato come un’alternativa concreta ai modelli economici e politici proposti dalle storiche potenze occidentali e dalle istituzioni economiche internazionali sorte dalla Conferenza di Bretton Woods del 1944 (tra queste, il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale), proponendo una visione del mondo fondata su un ordine globale multipolare. In tale contesto, i Paesi arabi, e in particolare quelli del Golfo, hanno manifestato un interesse crescente verso il blocco, attratti dalle opportunità economiche, diplomatiche e strategiche che esso offre.

I principali capi di stato e delegati dei Paesi membri del BRICS+ in occasione della conferenza tenutasi il 24
Ottobre 2024 nella città di Kazan, Tatarstan, Federazione russa. Fonte: Wikimedia commons.

Tra i principali esponenti del mondo arabo, l’Arabia Saudita occupa una posizione di particolare rilevanza in relazione al BRICS+. Invitata nel blocco nel gennaio 2024, insieme ad altri attori arabi quali gli Emirati Arabi Uniti e l’Egitto, Riyad incarna le aspirazioni di un’intera area geografica che punta a diversificare le proprie relazioni internazionali. Infatti, il suo avvicinamento al BRICS+ non solo riflette le trasformazioni in atto nella politica estera saudita, ma apre anche nuove prospettive per la cooperazione economica e politica tra il mondo arabo e le economie emergenti. Attraverso iniziative la Nuova banca di sviluppo (anche nota come New Development Bank o NDB) e la promozione dell’uso di valute locali negli scambi commerciali, infatti, il gruppo ambisce a ridurre la dipendenza dal dollaro statunitense e a favorire una maggiore autonomia economica per i suoi membri. Quest’ultimo obiettivo risulterebbe di particolare interesse per i Paesi arabi del Golfo Persico, i quali negli ultimi anni hanno tentato di ridefinire il loro ruolo nello scenario internazionale, vedendosi garantire ora una piattaforma per rafforzare le relazioni con potenze quali la Cina e l’India. Inoltre, la crisi del multilateralismo tradizionale – ovvero del modello di cooperazione internazionale guidato dagli Stati Uniti e dai Paesi dell’Europa occidentale – e le sempre più delicate relazioni tra Washington e taluni Paesi, quali gli Emirati Arabi Uniti, l’Egitto e l’Algeria, hanno agevolato l’instaurazione di nuove alleanze, consentendo l’affrancamento dalla dipendenza dai partner occidentali.

Grafico rappresentante l’andamento della quota del PIL (corretto per la parità dei poteri d’acquisto) dei Paesi del G7 e dei BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) rispetto all’economia globale tra il 1990 e il 2024.
Fonte: Wikimedia commons.

Pur riconoscendo il potenziale economico e strategico del blocco, l’Arabia Saudita sembra temporeggiare rispetto al pieno ingresso nel BRICS+, anche a causa del profondo legame storico che la unisce agli Stati Uniti. Tale relazione, che per decenni ha definito l’assetto geopolitico della regione del Golfo, è radicata negli accordi del Quincy del 1945, attraverso i quali Washington accordò protezione alla monarchia di Riyad garantendo al petrolio saudita un accesso stabile ai mercati mondiali e ai propri alleati una ragionevole sicurezza energetica. Questo rapporto è stato ulteriormente rafforzato nel corso della Guerra fredda, con gli Stati Uniti che vedevano nel Regno un baluardo contro l’influenza sovietica e una pedina chiave per la stabilità del mercato energetico globale. In tempi recenti i due Paesi si sono trovati su posizioni contrapposte su taluni dossier, su tutti quello relativo all’andamento della produzione di petrolio, con Riyad a guidare il fronte OPEC+ favorevole a un taglio dell’output e Washington a opporsi con convinzione a tale opzione. Ciononostante, Arabia Saudita e Stati Uniti hanno mantenuto – e continuano a mantenere – stretti legami economici e militari, che influenzano inevitabilmente le scelte di politica estera del Regno.

Sotto la guida del principe ereditario Mohammad bin Salman, Riyad ha intrapreso un percorso di apertura diplomatica e diversificazione economica: tale ambiziosa strategia, di cui il piano di sviluppo Vision 2030 rappresenta la più concreta manifestazione, punta a ridurre la dipendenza dell’economia saudita dal petrolio attraverso investimenti nei settori delle tecnologie avanzate, delle energie rinnovabili e del turismo, così da incrementare il contributo del comparto non-oil dal 20% al 35% del PIL entro il 2030. Questa prospettiva non si limita a promuovere riforme interne, ma mira anche a ridefinire il posizionamento internazionale dell’Arabia Saudita come attore globale autonomo.

Raad Al-Saady, il vicepresidente e amministratore delegato di ACWA Power, in occasione della conferenza Future Investment Initiative tenutasi a Riyad, Arabia Saudita, il 24 Ottobre 2023. Fonte: Wikimedia Commons.

Di conseguenza, la prospettiva di un eventuale ingresso nel BRICS+ risponde a precise esigenze strategiche. Innanzitutto, ciò consentirebbe a Riyad di consolidare i suoi legami con la Cina. Nel 2023 Pechino ha importato greggio dall’Arabia Saudita per un valore di circa 53,88 miliardi di dollari, divenendo il principale acquirente del petrolio del Regno oltre che partner chiave nello sviluppo di infrastrutture e tecnologie nel Paese. In generale, gli scambi commerciali tra l’Arabia Saudita e i Paesi del blocco hanno registrato un significativo aumento nel 2023, con una crescita tanto delle importazioni quanto delle esportazioni. Questo dato evidenzia il ruolo del BRICS+ nel rafforzamento delle relazioni economiche saudite e nella ricerca di nuovi partner commerciali.

In secondo luogo, una piena partecipazione al BRICS+ offrirebbe all’Arabia Saudita l’opportunità di esplorare nuove fonti di finanziamento per i grandi progetti infrastrutturali: attraverso la Nuova banca di sviluppo, Riyad potrebbe accedere a risorse economiche decisive per la trasformazione del Paese, riducendo al contempo la dipendenza dagli investitori occidentali. Un ulteriore fattore di interesse consiste nella possibilità di contribuire alla costruzione di un ordine economico globale più marcatamente multipolare. Grazie alla sua posizione di rilievo nei mercati energetici, che le deriva dal controllo di una quota pari a circa il 12-13% della produzione petrolifera mondiale, il Regno saudita esercita infatti un’influenza decisiva nella dinamica dei prezzi del greggio, e un suo eventuale ingresso nel BRICS+ rafforzerebbe il ruolo del blocco nella governance energetica mondiale.

Al tempo stesso, occorre rilevare che già oggi nel raggruppamento si trovano a coesistere sensibilità e agende politiche differenti quando non apertamente discordanti, e l’adesione al BRICS+ dell’Arabia Saudita complicherebbe ulteriormente il quadro. Se infatti da una parte la membership di Riyad consoliderebbe la rappresentatività del gruppo nel mondo arabo e musulmano, dall’altra il rischio di tensioni anche significative sarebbe rilevante, in considerazione del fatto che l’Iran – principale rivale regionale del Regno – fa già parte del blocco. Inoltre, il rafforzamento delle relazioni con le economie emergenti potrebbe complicare i rapporti tra l’establishment saudita e gli alleati occidentali, certamente poco inclini ad avallare un’iniziativa che potrebbe preludere a un riallineamento strategico di Riyad.

Adel al-Jubeir, ministro di Stato per gli Affari esteri saudita, in occasione del World Economic Forum 2023, al centro insieme al presidente della Repubblica di Colombia Gustavo Petro (al centro a sinistra). Fonte: Wikimedia Commons.

L’avvicinamento dei Paesi arabi al BRICS+, e in particolare la possibile adesione dell’Arabia Saudita, riflette un processo di profonda trasformazione degli equilibri geopolitici globali. Per gli Stati del Golfo, il blocco costituisce un’opportunità per ampliare le relazioni internazionali e accrescere l’autonomia strategica in un mondo sempre più frammentato. Data la sua ricchezza energetica e la sua ambiziosa agenda di riforme, Riyad si porrebbe come un attore di primo piano all’interno del raggruppamento, contribuendo sia alla crescita economica del gruppo, sia alla costruzione di un nuovo ordine globale più multipolare.

Tuttavia, il percorso del Regno verso una maggiore autonomia geopolitica non può prescindere dal legame storico con gli Stati Uniti, la cui conservazione resta prioritaria nella politica estera saudita.

Nonostante la volontà di ampliare le proprie alleanze e di rafforzare i rapporti con Paesi in ascesa come Cina e India, Riyad si trova dunque a bilanciare questa apertura con l’eredità di una relazione strategica con Washington. La dipendenza militare e l’interdipendenza economica tra Arabia Saudita e Stati Uniti rimangono dunque fattori rilevanti, rendendo difficile per il Regno un netto distacco dall’alleato americano. L’adesione al BRICS+ rappresenta quindi non solo un’opportunità di crescita economica, ma anche una sfida per le leadership dei Paesi del Golfo, che saranno chiamate ad adottare un approccio inevitabilmente flessibile per poter giocare le loro carte su più tavoli, in un contesto geopolitico in continua evoluzione.

Sara Scampini