Libia: la fragilità dell’accordo di Ginevra

La Missione di sostegno delle Nazioni unite in Libia (Unsmil) ha annunciato nella giornata di venerdì 23 ottobre che le due parti in conflitto nel paese nordafricano, rappresentate dai membri della Commissione militare mista (5+5), hanno raggiunto un’intesa sulla cessazione permanente delle ostilità, al termine del quarto round di un percorso negoziale che durava da circa una settimana.

Secondo Stephen Williams, capo della missione ad interim da quando l’inviato speciale dell’Onu – Ghassan Salamé – ha lasciato la sua posizione a causa delle troppe interferenze esterne, le due parti hanno concordato su un punto ritenuto di fondamentale importanza: tutti i mercenari e miliziani stranieri, assoldati da entrambe le fazioni, dovranno lasciare la Libia entro tre mesi dall’accordo, al fine di favorire il dispiego di una forza militare “limitata” che dovrà essere composta solo da personale regolare; il tutto controllato da un comitato militare congiunto e da una sala operativa di polizia.

L’accordo del 23 ottobre sul cessate il fuoco permanente in Libia. Fonte: UNSMIL.

Quello di Ginevra è un passo in avanti verso quell’atmosfera favorevole di cui necessita il paese per avviare un processo politico in grado di raggiungere una pace duratura e stabile. L’obiettivo principale è sicuramente quello di ridurre la contrapposizione tra est e ovest e salvaguardare la Libia dal potere sempre maggiore acquisito dalla miriade di milizie apparse sul territorio dalla caduta di Gheddafi (avvenuta nel 2011) fino ad oggi.

Nonostante il cessate il fuoco ribadito anche a Ginevra – e che ufficialmente dura ormai da agosto – in questi ultimi giorni il Governo di accordo nazionale (Gna) di Tripoli ha reso noto in molte occasioni di voler mantenere legami, anche militari, con i suoi due principali alleati: Turchia e Qatar. Il ministro della Difesa di Tripoli, Salah Eddine al-Namrush, ha affermato che gli accordi sottoscritti sotto l’egida delle Nazioni unite nella città svizzera non includono l’annullamento dell’accordo di cooperazione militare tra la Turchia e il Gna firmato a fine 2019. Questa decisione si scontra con uno dei punti dell’intesa raggiunta in Svizzera la scorsa settimana: infatti, secondo il documento finale di Ginevra, gli accordi militari con governi stranieri devono essere sospesi fino a quando non prenderà vita un nuovo governo che sia in grado di assicurare gli interessi dell’intera Libia.

Sulla stessa linea l’Alto consiglio di Stato che ha voluto sottolineare il fatto che l’accordo sul cessate il fuoco non riguarda e non modifica l’intesa avviata e firmata con il governo di Ankara. Inoltre, buttando altra benzina sul fuoco, l’Alto consiglio ha sottolineato come quello di Ginevra sia un documento firmato da un’autorità legittima e da un gruppo di ribelli che ha tentato in più occasioni di prendere il potere con la forza militare. Lo stesso concetto è emerso dalle dichiarazioni del presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, che in una dichiarazione ha evidenziato la mancanza di credibilità dell’accordo, data la natura delle parti.

A sinistra, il ministro degli Esteri libico Mohamed Sayala; a destra, il suo omologo qatariota, Khalid Bin Khalifa al-Thani. Fonte: The Libya Observer.

A voler confermare la volontà di Tripoli e del suo governo di non rimanere in attesa degli eventi politici, ma anzi di voler continuare sulla strada intrapresa nel corso degli ultimi due anni, è la firma di un Memorandum d’intesa (Memorandum of Understanting, o MoU) sulla cooperazione per la sicurezza con il Qatar. Secondo molti osservatori, quest’azione riflette una vera e propria sfida agli sforzi delle Nazioni unite e degli Stati Uniti di raggiungere un accordo che possa mettere fine al conflitto libico. La firma del MoU è infatti arrivata nello stesso giorno in cui il segretario di Stato statunitense, Mike Pompeo, si è dichiarato soddisfatto per l’accordo raggiunto sul cessate il fuoco in Libia. Se da una parte le dichiarazioni di Pompeo potrebbero essere viste come un monito a tutte la parti coinvolte nel conflitto libico a rispettare i punti del documento di Ginevra; dall’altra, il coordinamento turco-qatariota in Libia sembra destinato a creare numerosi ostacoli al processo di pace. In primo luogo, il memorandum aumenta le preoccupazioni sulla fragilità del cessate il fuoco e, in secondo luogo, esso lascia intendere l’eventualità che Ankara possa farsi da parte in Libia, se costretta dalle pressioni internazionali, per lasciare più spazio a Doha.

Per quanto riguarda la fazione che controlla la parte orientale della Libia, e che ha stabilito a Tobruk un governo rivale al Gna, i componenti principali sembrano tutti d’accordo sul cessate il fuoco raggiunto grazie alla mediazione dell’Unsmil. L’uomo forte della Cirenaica, Khalifa Haftar, ad oggi ancora non ha rilasciato nessuna dichiarazione in merito alla tregua permanente. Soddisfazione è arrivata invece dai suoi più stretti alleati – Emirati Arabi Uniti, Egitto, Arabia Saudita e Russia – che hanno accolto con favore il risultato di Ginevra. Anche il Presidente della Camera dei rappresentanti di Tobruk, Aguila Saleh, ha ribadito il suo sostegno all’azione delle Nazioni unite.

In questa settimana prende anche il via in Tunisia il Libyan Political Dialogue Forum (Lpdf), con una serie di incontri (virtuali in questi primi giorni e in presenza a partire dal nove novembre) con lo scopo di generare un consenso unanime su una forma di governo unificata ed estesa all’intero territorio e gettare le basi degli accordi che dovranno portare allo svolgimento delle elezioni nazionali nel più breve tempo possibile, per ripristinare la sovranità statale e la legittimità democratica delle istituzioni libiche. Tuttavia le difficoltà del Forum di Tunisi sono divenute evidenti già dai primi giorni. Da più parti sono state sollevate critiche circa la rappresentatività effettiva degli esponenti selezionati. Il Consiglio sociale delle tribù dei Tuareg ha denunciato le modalità con cui l’Unsmil ha selezionato i 75 membri del Forum. Proteste analoghe sono arrivate dalla Tripoli Protection Force della capitale libica, che ha rifiutato la lista dei nomi selezionati dalla missione delle Nazioni unite.

Proteste in Libia, luglio 2011. Fonte: Wikimedia Commons.

I risultati ottenuti a Ginevra possono essere valutati positivamente, ma bisognerà capire se il dialogo politico porterà a risultati positivi anche sulle questioni militari. A livello operativo dipenderà molto dal raggiungimento di alcuni obiettivi, fra cui la fine alla presenza di mercenari stranieri nel paese, la cessazione delle proteste popolari che negli ultimi mesi sono state protagoniste nelle principali piazze libiche e il raggiungimento di livelli di sicurezza che possano rafforzare la posizione delle istituzioni statali, fino ad oggi completamente inefficaci. Questi sono i passi necessari per poter ripristinare – dopo troppo tempo perso – l’indipendenza e la sovranità dello Stato libico. Allo stesso tempo, sebbene lo scontro si stia spostando sempre più dalle ostilità militari verso un processo politico, la situazione rimane a tutt’oggi incerta. Come detto in altre occasioni, all’interno del Gna di Tripoli è ancora aperta la lotta per il potere, il che potrebbe avere un impatto negativo sui dialoghi fra Tripoli e Tobruk. Il Primo ministro di Tripoli, Fayez al-Serraj, ha subordinato le sue dimissioni alla conclusione di un accordo su un nuovo governo entro la fine di ottobre; senza tale risultato è molto probabile che egli rimanga al potere. Questo potrebbe consentire una continuità della sua leadership e contribuire al progresso dei negoziati. Al-Serraj è infatti ritenuto da molti un interlocutore accettabile, sia a livello internazionale che tra alcune delle fazioni che controllano la Libia orientale. Infine, non bisogna sottovalutare il rischio che l’attuale moltiplicazione delle sedi negoziali tra le due fazioni – negli ultimi mesi si è assistito a negoziati in Marocco, Egitto, Germania e Svizzera – possa complicare il raggiungimento di un compromesso globale, aggravando le lotte di potere interne.

Mario Savina