Scambi di prigionieri e dialogo sottotraccia tra USA e Iran

Fin dal 1979, anno in cui una rivoluzione portò alla caduta dello Shah e all’instaurarsi di un regime islamista radicale in Iran, i rapporti tra Teheran e Washington sono stati dominati da tensione e conflitti. Ostaggi e prigionieri sono divenuti un fattore costante in questa burrascosa dinamica. Proprio nell’anno della presa del potere da parte dell’ayatollah Ruhollah Khomeini, un gruppo di giovani radicali islamici seguaci della “Via dell’Iman” (Khat-e Emam) attaccò l’ambasciata americana a Teheran, prendendo in ostaggio il personale diplomatico. I sequestratori chiesero la consegna dell’ex sovrano Mohammad Reza Pahalavi (lo Shah al potere tra il 1941 e il 1979), all’epoca ricoverato in gravi condizioni di salute negli Stati Uniti. La situazione scatenò la reazione della comunità internazionale e, all’interno dell’Iran, portò alla frammentazione del regime fra i sostenitori della “linea dura” e il governo provvisorio di Mehdi Bazargan – sostenuto in particolare da elementi di carattere nazionalista religioso. In quel frangente i “moderati” decisero di abbandonare il Parlamento iraniano come segno di protesta contro il sequestro degli ostaggi americani, ma quest’azione lasciò di fatto il parlamento iraniano nelle mani della maggioranza religiosa conservatrice e del clero. I 52 ostaggi vennero liberati nel gennaio del 1981, ma le relazioni tra i due paesi da allora sono sempre rimaste tese. Le prime sanzioni statunitensi contro l’Iran furono imposte dal presidente James Carter proprio in reazione alla presa degli ostaggi – nel novembre 1979, attraverso l’ordine esecutivo 12170 – e furono incrementate l’anno successivo a seguito dell’invasione dell’Iran da parte dell’Iraq, arrivando a vietare la vendita di armi e ogni tipo di assistenza da parte degli Stati Uniti, prima di allora un partner importante per l’Iran dello Shah.

Negli ultimi decenni, l’unico momento in cui si è assistito a un netto miglioramento delle relazioni tra Teheran e Washington è stato durante il mandato del presidente riformista Mohammad Khatami (1997-2005). All’epoca, infatti, il presidente iraniano portò avanti un progetto di “dialogo tra civiltà”, che tuttavia si interruppe a seguito dell’elezione alla presidenza USA di George W. Bush e della tragedia dell’undici settembre. Di lì in poi, la situazione fra i due paesi è andata degenerando, con ulteriori sanzioni da parte di Washington volte a contrastare il programma nucleare iraniano e l’ascesa, a Teheran, del presidente ultra conservatore Mahmud Ahmadinejad, rimasto in carica fino al 2013.

Jason Rezaian (a sinistra) con l’ex segretario di Stato americano John Kerry.
Fonte:
Wikimedia Commons.

L’avvento alla Casa Bianca di Barack Obama e l’elezione di un nuovo presidente moderato in Iran – Hassan Rouhani – portarono nel 2015 a un accordo sul programma nucleare iraniano (il Joint Comprehensive Plan of Action, o Jcpoa) e a un “disgelo” parziale nelle relazioni tra i due paesi. Questo miglioramento portò a sviluppi positivi anche in tema di prigionieri. Il regime di Teheran decise, infatti, di scarcerare il giornalista del Washington Post Jason Rezaian (cittadino irano-americano) e altri tre americani, mentre in cambio gli Stati Uniti rilasciarono sette iraniani detenuti in territorio statunitense e rinunciarono a perseguire in tribunale altri 14 cittadini iraniani. La maggior parte dei prigionieri iraniani negli Stati Uniti erano accusati di condurre attività in favore del programma nucleare iraniano o di aver violato le sanzioni imposte contro il regime di Teheran, mentre gli americani detenuti in Iran venivano accusati di spionaggio.

L’attuazione dell’accordo Jcpoa, unita a questi scambi di prigionieri, aveva rappresentato una nuova apertura tra USA e Iran, dopo quattro decenni di ostilità. Tuttavia, con l’elezione Donald Trump nel novembre 2016 si è riscontrato un nuovo peggioramento nelle relazioni tra i due paesi. L’amministrazione Trump ha interrotto il dialogo e ha adottato una linea molto più dura, segnata dal ritiro dall’accordo nucleare, dall’imposizione di un “travel ban” nei confronti dell’Iran e dall’inasprimento delle sanzioni economiche. Trump ha anche accusato Obama di aver pagato un riscatto in Iran per gli scambi di prigionieri. Tutte queste iniziative hanno di fatto azzerato le possibilità di un dialogo sulle linee del percorso iniziato solo pochi anni prima da Obama e Rouhani.

Nonostante questo irrigidimento, la questione legata a un possibile scambio di prigionieri fra Washington e Teheran non si è del tutto chiusa. Negli ultimi tre anni, funzionari iraniani e statunitensi hanno infatti ripetutamente parlato della loro disponibilità a operare scambi di prigionieri e, di fatto, questo è diventato l’unico canale di comunicazione tra le due parti. Ad esempio, nel 2019, si è assistito alla liberazione di Massoud Soleimani, un accademico iraniano incarcerato negli Stati Uniti, e di Xiyue Wang, un cittadino americano detenuto in Iran. In quell’occasione l’Iran ha rilasciato un ricercatore cinese dell’Università di Princeton che era stato imprigionato e accusato di spionaggio nel 2016, mentre gli Stati Uniti hanno rilasciato un professore e ricercatore iraniano che era stato imprigionato con l’accusa di violazione delle sanzioni negli Stati Uniti.

Il rilascio di Xiyue Wang.
Fonte:
Wikimedia Commons.

Qualche mese più tardi l’Iran ha affermato di voler scambiare prigionieri senza condizioni preliminari. Ciò è avvenuto nonostante siano più volte stati negati negoziati con gli Stati Uniti, in particolare dopo l’assassinio di Qassem Soleimani, un noto comandante militare iraniano. Tra gli ultimi ad essere stati rilasciati vi sono Sirus Asgari – scienziato iraniano accusato di aver rubato segreti commerciali durante una visita in Ohio – e Majid Taheri, medico iraniano accusato di aver violato le sanzioni statunitensi e i requisiti di rendicontazione finanziaria. I due sono volati a Teheran all’inizio di giugno, mentre l’Iran rilasciava Michael White, un ex militare americano. Il presidente Trump ha ringraziato l’Iran per lo scambio tramite un tweet che includeva anche un messaggio per la leadership iraniana. “Non aspettate fino a dopo le elezioni statunitensi per fare un nuovo accordo”, ha consigliato Trump. “Vincerò. Farete un affare migliore ora!”

Il tweet con cui Trump celebra il rilascio di Michael White.

Nei prossimi mesi è previsto un nuovo scambio di prigionieri tra i due paesi. Ad oggi le tensioni tra Teheran e Washington stanno attraversando una delle fasi peggiori degli ultimi anni, eppure gli scambi di prigionieri continuano ad avere successo. Anche se è stato dichiarato ufficialmente che il rilascio di prigionieri è privo di condizioni, è interessante riflettere sulle possibili ragioni che tengono ancora aperto questo spiraglio nei negoziati tra Washington e Teheran.

Shirin Zakeri