L’infinita crisi politica in Iraq

Il 12 giugno 2022, i membri del più grande partito politico iracheno, il “Movimento sadrista”, si sono dimessi in massa dal Parlamento, cedendo la maggior parte dei propri seggi ai rivali, nel tentativo di sbloccare uno stallo politico che va avanti da mesi. La crisi è dovuta soprattutto all’impossibilità di raggiungere un accordo per la formazione di un governo di maggioranza all’interno dell’Assemblea legislativa. Una mossa politica, che aggiunta alle altre questioni presenti nel paese, sta causando ulteriori disagi a una popolazione già in difficoltà.

In effetti, negli anni successivi alla caduta del regime di Saddam Hussein nel 2003, il nuovo sistema politico in Iraq ha dovuto affrontare diverse e inedite sfide: l’occupazione da parte degli Stati Uniti e dei suoi alleati, e la conseguente manipolazione del processo politico, la resistenza sunnita, il tentativo curdo di secessione sotto la facciata del referendum e, infine, la guerra contro lo Stato islamico (Isis). Il paese ha saputo nel complesso gestire, nonostante le tante difficoltà a livello nazionale e internazionale, i vari avvenimenti che hanno minacciato il suo equilibrio socio-politico ed economico. Nonostante ciò, ora l’Iraq si trova a dover affrontare la nuova sfida rappresentata dall’attuale crisi di governo. Contemporaneamente, all’interno del paese, sono scoppiate diverse proteste contro la grave disoccupazione, la corruzione, il settarismo e la mancanza di servizi pubblici, le quali si innestano su una profonda crisi socio-economica causata dalla pandemia da Covid-19.

Donna durante al voto in Iraq. Fonte: Wikimedia Commons

Nelle elezioni parlamentari dell’ottobre 2021 i sadristi hanno conquistato la maggioranza dei seggi in Parlamento (73 su 329) e, grazie alla coalizione con il partito di Masoud Barzani (KDP – Partito Democratico del Kurdistan) e con la Coalizione sunnita per la sovranità, al-Sadr è riuscito nell’intento di formare un governo di maggioranza, il primo del suo genere nel paese. Nel marzo 2022, il Movimento sadrista ha colto l’opportunità di formare una nuova coalizione a maggioranza semplice, chiamata “Salvare l’Alleanza Patria“. Questo gruppo era formato da partiti politici sciiti, sunniti e curdi e soddisfaceva la tradizionale convenzione irachena secondo cui il presidente è curdo e lo speaker è sunnita. La coalizione escludeva diversi partiti sciiti, in particolare quelli più legati all’Iran; il punto debole, o comunque un elemento importante da considerare, è che questa alleanza tripartita non raggiungeva la maggioranza dei due terzi richiesta per eleggere il presidente, che secondo la Costituzione ha il compito di nominare il primo ministro.

Il leader Moqtada al-Sadr. Fonte: Wikimedia Commons

Inoltre la nuova coalizione ha dovuto fare i conti con l’opposizione del Quadro del Coordinamento, un’alleanza di partiti sciiti contrari al governo maggioritario e che è diventata la principale alternativa politica ai Sadristi nel giro di pochi mesi. Il Coordinamento, formatosi dopo le elezioni, è composto dal partito di al-Maliki e da altre formazioni sciite, come l’Alleanza Fatah, che hanno perso la loro influenza nel paese alle elezioni del 2021.

Dopo vari tentativi, la maggioranza di al-Sadr non è riuscita nell’intento di formare un nuovo governo a causa del potere di veto detenuto dall’opposizione nelle procedure parlamentari. Le analisi dimostrano che le elezioni presidenziali sono state boicottate in tempi diversi da entrambi i principali partiti sciiti in Iraq. La prima votazione, prevista per il 6 febbraio, è stata boicottata da Muqtada al-Sadr e dai suoi fedeli in seguito alla sospensione da parte della Corte Suprema del candidato sostenuto da al-Sadr, Hoshyar Zebari. Il secondo e il terzo voto, invece, sono stati boicottati dai membri del Quadro dopo il fallito tentativo di al-Sadr di formare un governo di maggioranza che escludeva gli attuali rivali.

Questa impasse ha portato Al-Sadr a decidere di lasciare il Parlamento, insieme a tutti i suoi parlamentari eletti, optando per ritiro piuttosto che partecipare a quello che riteneva un “governo corrotto” che stava danneggiando l’Iraq. Infatti, le dimissioni di tutti i membri del Movimento sono state definite dal leader politico come un “sacrificio” per il bene del paese. L’attuale governo provvisorio, guidato da Moustafa al-Kazimi, vicino ad Al-Sadr, subisce l’influenza del leader e non sembra in grado di migliorare la situazione.

Crisi politica irachena

I sostenitori del leader religioso sciita Muqtada al-Sadr si sono radunati a Baghdad settimane dopo che questi aveva ritirato il suo blocco dal Parlamento e hanno partecipato alla preghiera del venerdì. Anche se al-Sadr non era presente, lo sceicco Mahmoud al-Jiyashi ha guidato le preghiere, leggendo un discorso di al-Sadr in cui ha ribadito i suoi appelli allo scioglimento dei gruppi armati, in riferimento all’Hashd al-Shaabi, un gruppo paramilitare sciita sostenuto dall’Iran che da tempo è stato integrato nell’esercito iracheno. Il gruppo, nelle parole delle sceicco che ha lamentato “interventi esteri”, senza mai nominare paesi specifici, “deve essere riorganizzato e gli elementi indisciplinati devono essere rimossi”.

Oltre alla crisi politica, l’Iraq, nonostante le entrate derivanti dal settore petrolifero, continua a soffrire un’incredibile carenza di servizi primari, come quello elettrico, e deve fare i conti con infrastrutture in decadimento, una disoccupazione dilagante e una forte corruzione. Questioni che dovrebbero essere l’obiettivo più importante da raggiungere per i politici iracheni. La Banca Mondiale ha dichiarato che “sebbene si preveda che l’economia crescerà in media del 5,4% all’anno tra il 2022 e il 2024, le prospettive macroeconomiche del paese sono soggette ad un significativo rischio a causa dell’elevata dipendenza dal petrolio, delle rigidità di bilancio e dei ritardi nella formazione di un nuovo governo. La dipendenza dal petrolio potrebbe anche danneggiare la spinta interna alle riforme, aggravando così le sfide economiche strutturali”.

Proteste a Baghdad. Fonte: Wikimedia Commons

Le tensioni politiche persistono nel paese, in particolare da quando, l’ultimo lunedì del mese di agosto, al-Sadr ha annunciato che avrebbe lasciato la politica: questa decisione ha provocato ulteriori disordini, nonché scontri tra i suoi sostenitori e l’esercito degli Hashed al-Shaabi, integrati nelle forze irachene nella Zona Verde di Bagdad, la Green zone, fondata e presidiata dagli americani dal 2003 al 2009 e successivamente consegnata completamente alle forze di sicurezza iracheneLa Green zone ospita anche gli uffici del governo iracheno e le ambasciate straniere. Gli scontri tra i sostenitori di al-Sadr e le altre forze hanno portato all’uccisione di circa 30 persone e 570 feriti. La situazione si è calmata solo dopo che al-Sadr ha parlato alla tv nazionale e ha chiesto ai suoi sostenitori di terminare la protesta.

In effetti, anche se il leader del movimento sciita si è ritirato dallo scenario politico, questi rimane comunque ben consapevole del suo potere nello smuovere le masse, tanto che il 29 agosto i suoi seguaci hanno fatto della Capitale una zona di guerra. La decisione di al-Sadr è peraltro successiva ad un altro importante avvenimento. Il 28 agosto, infatti, il leader spirituale sciita iracheno, l’Ayatollah Kadhim al Haeri, che ha un’importante influenza anche sui sostenitori di al-Sadr, ha annunciato di abbandonare la propria carica con effetto immediato. Al-Haeri, che è conosciuto non solo in Iraq, ma persino in Iran come marja al-taqlid, “fonte di imitazione”, ha chiesto ai suoi fedeli di seguire e scegliere come leader spirituale l’ayatollah iraniano Ali Khamenei. 

La questione dell’instabilità politica irachena rimane ad oggi una questione aperta e la probabilità che si formi una una coalizione al governo in grado di accompagnare il paese fuori dalla crisi è al momento lontana. 

Shirin Zakeri