Libia: il miraggio della democratizzazione

“Dopo un decennio di dolore e speranza, la Libia si sta muovendo verso la costruzione di uno Stato e l’istituzione di principi democratici”. A dirlo è stato il capo del Consiglio presidenziale libico, Mohammed al-Menfi, intervenuto al dibattito della 77° sessione dell’Assemblea Generale della Nazioni Unite. Tuttavia, l’ottimismo del politico e diplomatico libico sembra non trovare riscontro nella realtà. Lo stallo politico e le divisioni sono sempre protagoniste in un contesto domestico complicato e perennemente in bilico e la conclusione del processo politico – avviato e supportato dalla missione Onu in Libia (Unsmil) – appare sempre più un miraggio. Al contempo, gli scontri tra milizie rivali scoppiati nelle scorse settimane a Tripoli hanno dimostrato come il pericolo di un ritorno alle armi e di una ripresa del conflitto non sia definitivamente da escludere.

Libico al voto durante le ultime elezioni. Fonte: AIRL

La volontà del Governo di stabilità nazionale (Gns) di Fathi Bashagha di governare l’intero paese e la ferma decisione del Governo di Unità Nazionale (Gnu) di Abdulhamid Dbeibah di non abbandonare Tripoli prima delle elezioni hanno portato il paese maghrebino in un vicolo cieco. La disputa tra i due premier è sfociata nello scontro tra alcune milizie (che ha causato decine di morti e feriti) durante il tentativo di Bashagha di entrare nella capitale. Come detto, eventi del genere dimostrano come il rischio un’escalation militare sia concreta. Negli ultimi mesi sono aumentate le tensioni tra i gruppi armati fedeli all’uno o all’altro premier e gli scontri nella capitale sono i più gravi in Libia dal tentativo fallito del feldmaresciallo Khalifa Haftar. In questo contesto, i gruppi armati hanno assunto il ruolo di protagonisti. Le milizie e i loro leader sono diventati determinanti in qualsiasi sviluppo nel paese e la loro ascesa è un ostacolo agli sforzi volti a unificare e riformare i settori della difesa e della sicurezza, processo fondamentale per quella democratizzazione citata da al-Menfi.

Mohammed al-Menfi, capo del Consiglio presidenziale libico, intervenuto al dibattito della 77° sessione dell’Unga. Fonte: News UN

Intanto sul fronte economico, il rapporto del Libyan Audit Bureau, relativo all’anno 2021, ha rilevato lo stato di salute dell’ex colonia italiana. La relazione, che ha come oggetto i conti economici degli enti statali soggetti al controllo del Bureau, illustra la condizione di cattiva gestione delle finanze pubbliche e lo stato di corruzione in cui versa il paese. Secondo il rapporto sulla trasparenza fiscale 2022 in Libia, prodotto dal Dipartimento di Stato americano, le divisioni politiche interne continuano a impedire al governo di attuare regolari processi di bilancio, che hanno influito negativamente sulla trasparenza fiscale e sulle operazioni del paese. Tutto questo, naturalmente, ha conseguenze sulla popolazione. L’insicurezza alimentare (secondo l’Arab Barometer, in Libia raggiunge il 53%) e la stanchezza da cattivo governo sono fonte di malcontento popolare. A ciò si aggiunge il divario di genere nell’accesso al lavoro e la differenza di vita tra centri urbani e zone rurali.

Immagine degli ultimi scontri a Tripoli. Fonte: Bbc

La comunità internazionale da anni è al lavoro per cercare di ricomporre il frammentato quadro libico, di costruire stabilità, di promuovere iniziative di distensione. I risultati dei processi e di questi sforzi, tutti guidati dalle Nazioni Unite, faticano ad arrivare. Nonostante la nomina di un nuovo Rappresentante speciale per la Libia e capo della missione Unsmil, il senegalese Abdoulay Bathly, in Libia l’Onu è la prima istituzione ad essere in difficoltà. Il problema onusiano è stato quello di impostare l’intero processo sulle elezioni, tralasciando sicurezza, stabilità e condizioni socio-politiche per andare al voto. D’accordo con Karim Mezran, serve un necessario cambio di rotta, a cominciare dal sostenere certe figure che non hanno intenzione di cambiare lo stato attuale delle cose. Tra queste la questione costituzionale è la più spinosa. Il progetto costituzionale determinerà il futuro libico, l’intero ordinamento statale, i suoi principi fondanti e i rapporti tra i poteri legislativo, esecutivo e giudiziario. Tuttavia, lo zelo dei due organi legislativi attualmente in carica, la Camera dei Rappresentanti (HoR) e l’Alto Consiglio di Stato (HCS), ha sollevato diversi dubbi e sospetti in diversi ambienti libici e internazionali sulla volontà di trovare un accordo sul quadro costituzionale al fine di poter arrivare allo svolgimento delle elezioni. In tal senso, ad oggi, sembra che i due organi non abbiano alcun interesse a cambiare la situazione e raggiungere un’intesa. Ne sono un chiaro segnale anche le voci sulla possibilità della formazione di un terzo governo. Ciò nonostante, nel breve periodo, uno scenario del genere – soprattutto dopo gli scontri a Tripoli che hanno rafforzato la posizione e la figura di Dbeibah – sembra difficile da realizzarsi. La rimozione del misuratino, a capo dell’unico governo riconosciuto dalla comunità internazionale, sarà complicata. Inoltre, un terzo esecutivo che accompagni il paese alle urne andrebbe contro gli interessi di tutti gli attori che hanno l’obiettivo di tutelare i propri interessi e che vedono negativamente lo svolgimento delle elezioni.

Graffiti per le strade libiche. Fonte: Justice in Conflict

Ancora, la democratizzazione del paese nordafricano necessita di un chiaro processo giudiziario di transizione. In Libia, tale percorso è in stallo da troppo tempo. Mentre il conflitto che ha travolto il paese maghrebino negli ultimi anni spiega in parte questa situazione, le autorità libiche generalmente non hanno attuato la legge di riferimento, ossia la n. 29 del 2013. Le sistematiche e diffuse violazioni dei diritti umani e gli abusi commessi durante il regime di Moammar Gheddafi e quelle commesse in seguito alla rivolta scoppiata nel febbraio del 2011, tuttavia, hanno lasciato la società libica in un disperato bisogno di verità, giustizia, riparazione e stato di diritto riforma. La necessità di avviare un processo di giustizia di transizione nel paese è riemersa nel contesto dei negoziati politici che hanno avuto luogo dopo il fallimento dell’attacco di Haftar a Tripoli e il successivo accordo sul cessate il fuoco raggiunto nell’ottobre del 2020 tra le fazioni rivali. In tal senso, la comunità internazionale ha invitato più volte a un rafforzamento del percorso per raggiungere la giustizia e la verità. Un concreto percorso giudiziario di transizione è indispensabile nell’ottica di una riconciliazione nazionale, che è all’ordine del giorno. Cionondimeno, gli sviluppi degli ultimi mesi mostrano come si voglia in parte contrapporre le due questioni: da una parte, giustizia di transizione e, dall’altra, riconciliazione nazionale. Far fallire il processo giudiziario di transizione significherebbe rafforzare l’impunità presente nel paese e non garantire quell’accesso alla giustizia e al diritto necessari per la rinascita del paese e del popolo libico.

Il cammino della Libia lungo la strada della democratizzazione pare essere ancora lungo. La definitiva stabilizzazione dell’assetto statale e nazionale è improbabile senza la nascita di un sistema paese strutturato. In tale contesto, il dialogo nazionale – ai fini della già citata riconciliazione – è elemento fondamentale. Tuttavia, la volontà delle parti in causa continua a mostrare che gli obiettivi sono sempre e solo il potere e la tutela dei propri interessi. Purtroppo, questo è l’unico punto su cui tutti gli attori politici e militari libici sembrano pensarla allo stesso modo.

Mario Savina