Novi Pazar: origini della comunità musulmana e interessi geopolitici di Ankara e Riad

Il Sangiaccato, o Sandžak, rappresenta una regione a maggioranza musulmana che si estende su un’area che si divide tra la Serbia e il Montenegro. Si tratta di un territorio di confine tra i due Stati e di comunicazione tra le collettività musulmane di Bosnia, Kosovo e Albania. Tuttavia, proprio la composizione etnico-confessionale del Sangiaccato è stata spesso motivo di tensione tra la comunità bosgnacca (musulmana bosniaca) e il governo centrale serbo. In questo quadro, il governo turco si pone come mediatore delle frizioni tra Novi Pazar (capoluogo del Sandžak) e Belgrado, nonché delle rivalità tra le due comunità islamiche presenti sul territorio, facendo leva sul legame storico tra il Sangiaccato e l’Impero ottomano. Analogamente, anche l’Arabia Saudita investe risorse al fine di esercitare maggiore influenza sulla comunità musulmana di Novi Pazar, proiettando gli interessi sauditi nella regione.

La collocazione geografica del Sangiaccato. Fonte: Wikimedia Commons.

L’unità politica oggi nota come Sangiaccato deve il suo nome al termine turco sancak, attraverso cui l’Impero ottomano riconosceva lo status di provincia amministrativa a uno specifico territorio: quest’area geografica passò infatti sotto l’occupazione ottomana nel XV secolo, divenendo parte della provincia di Bosnia. Nello stesso periodo ebbe inizio la conversione della popolazione del Sangiaccato all’islam, incoraggiata anche da una serie di politiche economiche, ad esempio l’applicazione di benefici e riduzione delle tasse a vantaggio esclusivo di proprietari terrieri e artigiani musulmani. Inoltre, furono pratiche molto comuni quelle di conversione e reclutamento dei minori di religione cristiana nell’élite politico-amministrativa ottomana, incluso il corpo militare dei Giannizzeri. Tra il XVII e il XVIII secolo, con il declino dell’Impero ottomano e l’avanzata di quello asburgico nei Balcani, scoppiarono diversi conflitti determinanti per l’emigrazione delle collettività ortodosse ed ebraiche verso i territori della monarchia austro-ungarica. Questo fenomeno incoraggiò il trasferimento di comunità musulmane caucasiche, mediorientali e turche nella regione balcanica, agevolando il radicamento dell’islam anche nel Sangiaccato.  

I territori europei dell’Impero ottomano nel Diciannovesimo secolo. Fonte: Wikimedia Commons.

La composizione etnico-confessionale del Sandžak si consolidò durante l’occupazione asburgica (1878-1908), e successivamente, alla fine della Prima guerra mondiale, quando la regione entrò a far parte del Regno dei Serbi, Croati e Sloveni. Dal 1929 il Sangiaccato divenne parte del regno di Jugoslavia, per poi passare sotto l’occupazione italiana durante la Seconda guerra mondiale. Al termine del conflitto, la regione fu assorbita nella Federazione jugoslava e fu divisa tra Serbia e Montenegro.

Nel 1971 la Repubblica socialista federale di Jugoslavia introdusse e riconobbe la nazionalità “musulmana” nella Costituzione, consentendo ai bosgnacchi del Sangiaccato di ricoprire importanti cariche politico-amministrative. Tuttavia, la situazione iniziò a cambiare negli anni Ottanta a seguito della morte di Josip Broz – detto “Tito”, il dittatore che aveva mantenuto per anni la coesione della Jugoslavia – e a causa della guerra che negli anni Novanta del secolo scorso accompagnò il collasso della federazione. Nel 199l il territorio divenne parte di quello che restava della Federazione jugoslava – di fatto la Serbia e il Montenegro. Il leader serbo Slobodan Milošević alienò i musulmani dal contesto politico-sociale e adottò pratiche di repressione e controllo sulla comunità – una politica  che portò all’emigrazione di migliaia di musulmani jugoslavi in Turchia. La situazione cambiò ancora una volta negli anni Duemila, a seguito della destituzione di Milošević. In Serbia fu approvata la Law on the Protection of Rights and Freedoms of National Minorities, che garantì una più equa rappresentanza politica della comunità bosgnacca nelle istituzioni. Nel 2006, a seguito dell’indipendenza del Montenegro, il territorio del Sangiaccato fu diviso in dodici municipalità, appartenenti sia al territorio serbo (Novi Pazar, Nova Varoš, Priboj, Prijepolje, Sjenica, Tutin) sia a quello montenegrino (Andrijevica, Berane, Bijelo Polje, Plav, Pljevlja, Rožaje). Attualmente, il Sangiaccato è dotato di un centro di potere e di istituzioni, ad esempio il Bosniac National Council, collocato a Novi Pazar, che tutela gli interessi della comunità bosgnacca sul territorio.

Secondo i censimenti effettuati da Serbia e Montenegro nel 2011, circa il 45% della popolazione del Sangiaccato si riconosce nella nazionalità bosgnacca – cioè musulmana di etnia bosniaca – o musulmana più in generale, a cui segue quella serba (40%). Nello specifico, la più alta percentuale di bosgnacchi si riscontra nelle municipalità serbe di Tutin (90%), Novi Pazar (77%) e Sjenica (74%) e in quelle montenegrine di Rožaje (84%) e Plav (52%).

La composizione etnico-confessionale del Sangiaccato, sulla base dei censimenti del 2011. Dati estratti da: Statistical Office of the Republic of Serbia e Statistical Office of Montenegro.

Nonostante la maggioranza della popolazione del Sangiaccato si riconosca nella nazionalità bosniaco-musulmana, all’interno della stessa collettività esiste una frattura interna che ha dato origine a due differenti comunità islamiche. La Comunità islamica di Serbia (fazione lealista) è guidata dal reis ul-ulema Sead Nasufović, ha sede a Belgrado ed è riconosciuta dal governo centrale; invece, la Comunità islamica in Serbia è guidata dal muftī Mevlud Dudić, ha sede a Novi Pazar, è legata alla Bosnia ed è riconosciuta dalla comunità musulmana internazionale.

Questa frammentazione è alimentata dalle strategie del divide et impera di Belgrado ed è funzionale a frenare le richieste di maggiore autonomia avanzate soprattutto dai bosgnacchi nel corso degli anni. Tuttavia, il mancato riconoscimento dell’indipendenza del Sangiaccato e la scarsa attuazione di riforme economiche sul territorio hanno generato tensioni tra Novi Pazar e Belgrado, alimentate più di recente anche dalla diffusione del fondamentalismo di matrice religiosa islamica e dell’estremismo serbo di destra.

In questo contesto, è importante sottolineare il ruolo di mediatore di Ankara, che cerca di risolvere la crisi interna alla comunità islamica e di facilitare il dialogo tra Novi Pazar e Belgrado, facendo leva sul legame storico tra Sangiaccato e Impero ottomano. Per la prima volta negli ultimi cinque anni, il 7 settembre scorso il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha incontrato il presidente serbo Aleksandar Vučić a Belgrado. I due leader hanno discusso dell’alleggerimento delle politiche di ingresso e transito in Turchia per i cittadini dei Balcani, della fornitura di energia elettrica e delle recenti tensioni tra Serbia e Kosovo, sostenendo stabilità e cooperazione tra i paesi della regione. L’impegno di Ankara in Serbia si realizza soprattutto attraverso il finanziamento di progetti infrastrutturali, quali ad esempio la costruzione dell’autostrada Sarajevo-Belgrado. Relativamente al Sangiaccato, invece, gli investimenti sono attuati attraverso  l’Agenzia turca per la cooperazione e il coordinamento, e sono volti principalmente allo sviluppo economico delle aree rurali, alla creazione di centri culturali, programmi di interscambio tra studenti, alla ricostruzione di moschee, come quella di Sjenica (eredità dell’Impero ottomano) e alla distribuzione di materiale scolastico.

La città di Novi Pazar. Fonte: Wikimedia Commons.

Il soft-power esercitato nella regione balcanica, e in particolare nel Sangiaccato, consente ad Ankara di conservare il legame storico con le collettività musulmane e instaurare allo stesso tempo delle relazioni di buon vicinato con i governi della regione. In tal senso, la Turchia si pone come guida della comunità islamica e come mediatore delle controversie nei Balcani, spazio geografico in cui è tuttavia possibile assistere alla competizione intra-sunnita tra Turchia e Arabia Saudita.

Nel Sangiaccato, infatti, è diffusa la corrente dell’islam wahabita a cui aderiscono diversi membri della comunità islamica legati alla vicina Bosnia, paese in cui si concentrano i principali investimenti dell’Arabia Saudita. Riad finanzia progetti anche nel Sangiaccato, molto simili a quelli turchi, volti allo sviluppo economico e alla costruzione di moschee, sale di preghiera e scuole coraniche, in cui sono offerti corsi di arabo gratuiti e programmi di interscambio tra studenti bosgnacchi e sauditi. In definitiva, la composizione etnico-confessionale e la posizione geografica all’interno della regione balcanica rendono il Sangiaccato uno spazio funzionale alla proiezione e competizione degli interessi geopolitici di Ankara e Riad.

Maria Grazia Stefanelli