Tunisia: un paese in bilico

Il 2024 tunisino è iniziato come si era concluso l’anno precedente. Il contesto domestico, sulla scia del 2023, continua ad essere caratterizzato da una parvenza di stabilità politica e dalla delicata situazione economica. Il tutto retto su un’architettura statale molto incerta dove la programmazione del futuro, anche solo nel breve e medio termine, diventa sempre più complicata. Mentre sul fronte politico gli eventi dell’ultimo biennio hanno visto un accentramento del potere nelle mani del presidente Kaïs Saïed, su quello economico continua la crisi che attanaglia il paese da oltre un decennio. A ciò si aggiunge la complessa questione migratoria che rende tese le relazioni tra il paese maghrebino e quelli della sponda nord del Mediterraneo, Italia su tutti.

Donna al voto in Tunisia. Fonte: Flickr

Lo scorso 24 dicembre il popolo tunisino è stato chiamato, per la terza volta negli ultimi due anni, ad esprimere il proprio voto per scegliere i componenti dei Consigli locali che successivamente andranno a formare la seconda Camera del Parlamento, il Consiglio nazionale delle regioni e dei distretti. Come nelle precedenti tornate elettorali, anche in questa occasione l’Alta commissione elettorale indipendente ha registrato un tasso di partecipazione molto basso: infatti, si è recato alle urne solo l’11,66% degli aventi diritto. L’elevato dato di astensionismo ha permesso all’opposizione dell’ex professore di diritto costituzionale di evidenziare, secondo la loro visione, il rifiuto da parte del popolo del progetto politico avviato dal presidente dopo gli eventi del luglio del 2021. Le elezioni, inizialmente previste per il 17 dicembre, erano stato rinviate per questioni puramente simboliche. Il 24 dicembre, infatti, è il giorno dell’anniversario della morte degli attivisti Muhammad Al-Amari e Shawqi Al-Haidari, mancati durante le rivolte che portarono alla caduta del regime di Ben Ali. L’elezione dei Consigli locali è stato un passo fondamentale verso la scelta indiretta del Consiglio nazionale delle regioni e dei distretti, il nuovo organo istituito dalla nuova Costituzione del 2022 come Camera alta del Parlamento tunisino. Una volta eletto, ogni Consiglio locale designerà per sorteggio uno dei suoi membri per un posto nel Consiglio regionale (governatorato) per tre mesi. Successivamente, ciascuno dei 24 consigli regionali eleggerà tra i suoi membri un rappresentante nel Consiglio distrettuale al quale è territorialmente annesso. Infine, i 77 membri del Consiglio nazionale delle regioni e dei distretti saranno eletti indirettamente: i membri dei Consigli regionali eleggeranno tre rappresentanti (24 x 3) ai quali si aggiungeranno cinque rappresentanti eletti nei consigli distrettuali.

Al di là della complessa formula scelta per la formazione del secondo organo legislativo, che dovrebbe prendere ufficialmente vita nel prossimo giugno, dopo l’intricato meccanismo sopra descritto, ciò che si evidenzia è la lotta da parte del capo di Stato a quel processo di decentralizzazione che aveva preso avvio in seguito agli eventi del 2011. La battaglia del presidente a tale riguardo è iniziata formalmente nelle fasi immediatamente successive al 25 luglio 2021 con lo scioglimento del Ministero degli Affari locali e l’attribuzione dei 350 Consigli locali sotto il controllo del Ministero dell’Interno. D’altra parte, da quando Saïed ha sciolto il Parlamento nel 2021 ha adottato un approccio unilaterale all’esercizio del potere e del controllo sul paese, escludendo tutti gli altri attori – politici e non – dal dialogo nazionale. Una scelta – quella dell’assenza di confronto – che è stata caratteristica principale anche nella redazione della nuova Carta costituzionale, dove il presidente è stato l’unico “autore” del documento. Il modello di “costruzione della democrazia dal basso” era presente nei discorsi dell’ex professore di diritto costituzionale anche durante la sua campagna elettorale che lo ha poi portato alla vittoria nel 2019. Le scelte politiche e giuridiche degli ultimi anni hanno reso fattibile nella pratica il programma promosso del presidente, stabilendo una base per la sua struttura che sta prendendo forma nel corso del tempo. Tuttavia, il processo politico e giuridico, come già detto, si è sviluppato in un pesante clima di esclusione e caratterizzato da una mancanza quasi totale di trasparenza e partecipazione politica. Inoltre, andrebbe meglio esplicitato il ruolo del nuovo organo che andrà a formarsi nei prossimi mesi. In linea teorica, la seconda Camera dovrebbe elaborare i progetti di sviluppo delle regioni della Tunisia, ma nella pratica il potere legislativo resta di fatto subordinato alle scelte dirette del capo dello Stato. In altre parole, il processo di costruzione della democrazia dal basso si scontra, evidentemente, con la forte autorità centrale che guida il paese.

Guida alle elezioni del Consiglio nazionale delle regioni e dei distretti. Fonte: Ifes

Bloccata dalla forte repressione, l’opposizione è divisa e disorganizzata. Ciò rende ancora più complicata la formazione di una risposta e di un programma politico che possano contrastare l’attuale stato di cose. Le autorità hanno preso di mira tutti i componenti dell’opposizione, insieme a coloro che rappresentano una voce critica o che sono considerati come nemici del presidente. Il soggetto maggiormente sotto pressione resta il partito Ennahda, che conta decine di esponenti messi sotto indagine, oltre all’arresto nell’aprile dello scorso anno del suo leader, Rached Ghannouchi. Al contempo, come riporta Amnesty International, nei mesi passati si è registrato anche un forte attacco alla libertà di espressione, con decine di persone indagate o processate per il solo fatto di aver esercitato tale diritto.

Sul fronte economico, gli indicatori restano preoccupanti. La crescita negli ultimi anni è stata rallentata, oltre che dalla cattiva gestione domestica, anche da eventi quali la pandemia di Covid-19 e il conflitto tra Russia e Ucraina. Ciò ha portato a un forte aumento dell’inflazione, che ha creato gravissimi problemi alla popolazione, sebbene sia scesa nel corso del 2023 dal 10, 2% all’8,1%, e del debito estero, cresciuto in maniera vertiginosa, raggiungendo circa il 90% del Pil nel 2022. Secondo il governo tunisino, nel 2024 quest’ultimo dato dovrebbe attestarsi al 79,8% del Pil. Questo, di fatto, ha spinto le agenzie di rating a declassare il paese, bloccando qualsiasi prestito dall’estero. Un importante aiuto sarebbe rappresentato dall’erogazione del prestito di circa 1,9 miliardi di dollari da parte del Fondo monetario internazionale (Fmi). La ritrosia di Saïed nel cedere alla riforme economiche e sociali imposte dall’organismo internazionale come requisito per il prestito, ha portato i colloqui a una fase di stallo. Pressioni sul Fmi, per una maggiore flessibilità, sono arrivate, nei mesi scorsi, anche dall’Unione europea e dall’Italia, entrambe preoccupate per un eventuale default del paese maghrebino, che causerebbe una grave crisi nel Mediterraneo, con un conseguente aumento dei flussi migratori.

Il dossier migratorio, che è stato al centro degli accordi siglati nell’anno passato tra Tunisia e Unione europea, è stato tra i punti principali della Conferenza Italia-Africa che si è svolta a Roma il 28 e 29 gennaio, al quale ha partecipato lo stesso presidente tunisino. Alla Tunisia, Roma e Bruxelles continuano a chiedere, così come fatto nel recente passato, di lavorare per rallentare il flusso di migranti che tentano di arrivare sulle coste europee. Non è un caso che il ministro dell’Interno italiano, Matteo Piantedosi, abbia recentemente dichiarato che la rafforzata collaborazione con Tunisia e Libia ha impedito l’arrivo di ulteriori 120mila migranti in Italia nel 2023, contenendo il flusso di arrivi di circa il 50%.

Il presidente tunisino, Kaïs Saïed. Fonte: Wikimedia

Tra crisi economica e accentramento del potere, l’anno appena iniziato vedrà nei prossimi mesi i tunisini recarsi di nuovo alle urne, questa volta per le elezioni presidenziali. Con la nuova Costituzione, Saïed potrà ricandidarsi per un altro mandato di cinque anni. Ad oggi, solo Olfa Hamdi, leader del Partito della Terza repubblica, ha annunciato ufficialmente che correrà per la più alta carica dello Stato. Al contempo, in linea con la politica fino ad oggi espressa, Saïed ha dichiarato che non permetterà a osservatori stranieri di supervisionare il voto. Nel breve termine, la ripresa della transizione democratica sembra molto improbabile. Il timore di un ritorno al caos e alla violenza, oltre al presente odio nei confronti della classe politica che ha guidato la fase post-rivoluzione, non permette una reazione decisa da parte della popolazione, così come auspicato dai principali oppositori del presidente e del suo programma. Una possibile spiegazione all’accettazione popolare è il beneficio derivato dal disordine statale complessivo. Il caos prodotto dalla cattiva gestione amministrativa e statale permette una maggiore libertà di manovra a livello locale, che influisce in maniera determinante sulla vita di tutti i giorni. Infine, il riaccendersi del conflitto in Palestina ha permesso a Kaïs Saïed, rimarcando il sostegno del suo paese alla causa palestinese nei suoi discorsi politici e negli attacchi alle azioni militari di Israele, di incontrare il benestare e il favore della maggior parte dell’opinione pubblica tunisina. Al contrario, secondo il Fronte di salvezza nazionale, che riunisce le principali forze di opposizione, l’alto tasso di astensionismo registrato il 24 dicembre è un’ennesima opposizione popolare ai progetti del presidente. Infatti, secondo diversi oppositori di Saïed, più le preoccupazioni della gente saranno assenti dal disegno politico portato avanti dal capo di Stato, maggiore sarà il rifiuto e il distacco popolare.

Mario Savina