La Nato dopo il vertice di Madrid: quali conseguenze per il Mediterraneo?

Il vertice Nato che ha avuto luogo Madrid tra il 28 e il 30 giugno ha segnato un notevole punto di passaggio per l’Alleanza atlantica. Questo incontro ha, infatti, aperto le porte all’ingresso della Finlandia e della Svezia nella Nato. In aggiunta, l’Alleanza si è anche dotata di un nuovo “concetto strategico” – un documento volto a specificare le priorità generali e le sue linee di azione. Il vertice di Madrid segna dunque una delle svolte più significative per la Nato negli ultimi anni, sia dal punto di vista geopolitico che sotto il profilo strategico. È dunque importante mettere a fuoco gli aspetti salienti di questa svolta e valutare l’impatto delle recenti decisioni sulla sicurezza dello scacchiere mediterraneo.

I leader della Nato in occasione del vertice di Madrid. Fonte: Nato.

Il nuovo concetto strategico ribadisce le funzioni chiave della Nato: deterrenza e difesa, prevenzione e gestione dei conflitti e cooperazione nel campo della sicurezza. Il documento delinea inoltre le priorità dell’Alleanza, come la situazione critica dei rapporti con la Russia, la prospettiva sempre più “globale” e multidimensionale che caratterizza le sfide dell’attuale contesto internazionale e le lezioni apprese in occasione degli interventi militari condotti negli ultimi decenni.

Il punto chiave del nuovo concetto strategico è naturalmente la reazione della Nato alla guerra di aggressione iniziata dalla Russia ai danni dell’Ucraina con l’invasione dello scorso 24 febbraio. Il concetto strategico individua chiaramente Mosca come minaccia principale per l’Alleanza atlantica e assume una posizione di sostegno netto in favore dell’Ucraina e contro qualsiasi tentativo di violare i principi di sovranità e autodeterminazione nell’ambito della comunità internazionale. Viene, infatti, ribadita la politica della “porta aperta” in relazione all’allargamento della Nato, così come il principio secondo cui la scelta di diventare membri dell’Alleanza per paesi come l’Ucraina e la Georgia non può essere oggetto di veto da parte di “paesi terzi”. Il documento individua inoltre i Balcani occidentali e il Mar Nero come aree di interesse strategico primario e indica la possibilità di invocare l’articolo 5 del trattato dell’Atlantico del Nord (la clausola di “difesa collettiva”, secondo cui se un membro dell’Alleanza è vittima di aggressione gli altri Stati membri si impegnano a una risposta congiunta) anche per i casi di attacco cibernetico o “guerra ibrida” – operazioni difficili da identificare con chiarezza, ma spesso attribuite alla Russia negli ultimi anni.

Da destra a sinistra: il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, il presidente americano Joe Biden, e il Primo ministro britannico Boris Johnson durante il vertice di Madrid. Fonte: Nato.

Il nuovo concetto strategico conferma inoltre l’importanza di missioni che da tempo fanno parte delle attività della Nato – come la lotta al terrorismo e la necessità di prevenire e gestire i conflitti interni – e delinea ulteriori priorità che riflettono una visione più “globale” e multidimensionale che si sta affermando nell’Alleanza – come l’interesse per la regione dell’Indo-pacifico, per le ambizioni della Cina, per il cambiamento climatico e per la sicurezza energetica.

Anche il secondo punto chiave sancito dal vertice di Madrid – l’ingresso della Svezia e della Finlandia nella Nato – conferma la maggiore determinazione dell’Alleanza nel contrastare la minaccia russa. Pur non essendo molto significative in termini numerici, le forze armate dei due nuovi Stati membri sono tecnologicamente avanzate e ben addestrate, e già da anni operavano a stretto contatto con le forze Nato. Dal punto di vista geografico, con l’inclusione dei due paesi l’Alleanza è destinata a rafforzarsi sugli scacchieri baltico e artico. Allo stesso tempo, la linea di confine su cui la Nato e la Russia si trovano faccia a faccia è notevolmente aumentata, il che rende più alto il rischio di tensioni e scontri diretti.

A Madrid, i leader dell’Alleanza si sono anche impegnati ad incrementare il numero delle unità della Forza di reazione rapida della Nato, al fine di portarlo dalle 40,000 attuali unità a 300,000, e a continuare ad aumentare le spese militari in modo da raggiungere e superare il tetto del 2% in relazione al Pil, come già stabilito dal summit del Galles del 2014. La Gran Bretagna ha annunciato l’invio di ulteriori truppe in Estonia, mentre gli Stati Uniti si sono impegnati a rafforzare la loro presenza in Romania e a schierare aerei F-35 nel Regno Unito e alcune unità navali in Spagna. 

Il presidente USA Joe Biden annuncia un aumento della presenza militare americana in Europa. Fonte: Bloomberg Markets and Finance.

La crisi ucraina e il vertice di Madrid hanno importanti ripercussioni anche sulla sicurezza mediterranea. Come sottolineato in una recente intervista dal ministro della Difesa italiano Lorenzo Guerini, il Mediterraneo rimane, infatti, un’area carica di sfide per l’Alleanza, come l’instabilità politica nel Nord Africa, la fragilità della Libia e dei paesi del Sahel e la minaccia del terrorismo jihadista. La guerra in Ucraina e le decisioni prese a Madrid influenzano dunque lo scenario di sicurezza mediterraneo su più livelli.

In primo luogo, bisogna considerare il fatto che le risorse a disposizione della Nato non sono illimitate, e dunque una minaccia chiara, immediata e pressante come quella rappresentata dall’aggressione russa ai danni dell’Ucraina ha l’effetto inevitabile di monopolizzare di fatto l’attenzione degli Stati membri – e soprattutto del paese leader dell’Alleanza, gli Stati Uniti. La difficoltà nel distribuire le risorse – così come gli oneri necessari a far funzionare l’Alleanza – costituisce un problema tradizionale per la Nato. Questa dinamica si è tuttavia accentuata nell’era post-Guerra fredda per via della natura più diffusa delle minacce e del maggior numero di Stati membri conseguente al processo di allargamento. La maggiore attività volta a garantire la sicurezza del “fronte est” della Nato ha fatto dunque passare in secondo piano le sfide che caratterizzano il “fronte sud”, come il rischio di collasso di alcuni Stati della sponda meridionale del Mediterraneo e del Sahel, il terrorismo jihadista, e i rischi di emergenze umanitarie legati ai flussi migratori. Queste minacce sono tra l’altro rese sempre più pressanti dal cambiamento climatico – un ulteriore tipo di sfida decisivo nel lungo termine e riconosciuto nel concetto strategico che tuttavia, proprio a causa della sua natura di minaccia latente, non sempre desta adeguata attenzione da parte dei leader e dell’opinione pubblica.

In secondo luogo, è importante notare che la guerra in Ucraina sta avendo delle ramificazioni – tra cui spiccano l’aumento dei prezzi delle materie prime, delle risorse energetiche e dei prodotti alimentari – che possono a loro volta avere effetto di moltiplicatore dell’instabilità strutturale a cui sono fortemente esposti sia i paesi del Nord Africa e del Medio Oriente che quelli dell’Africa subsahariana. La Tunisia, la Libia e il Marocco, così come l’Egitto, il Libano e la Somalia, sono ad esempio fortemente dipendenti dalle importazioni di cereali dalla Russia o dall’Ucraina. L’embargo imposto dalla Russia nei confronti dell’Ucraina nel Mar Nero ha messo fortemente a repentaglio la sicurezza alimentare di questi paesi. Sia la minaccia latente, ma sempre più reale, del cambiamento climatico sia gli effetti immediati e significativi – seppur indiretti – generati dalla guerra sui mercati finanziari, stanno rendendo il fronte sud della Nato sempre più esposto al rischio di un’esplosione analoga a quella che si è verificata in occasione delle “Primavere arabe” del 2011. 

La maggiore tensione fra la Nato e la Russia ha inoltre delle conseguenze dirette per il fianco meridionale dell’Alleanza. La Russia ha, infatti, incrementato il suo attivismo nel Mediterraneo, il che spiega anche la decisione americana di aumentare le risorse destinate al pattugliamento navale della regione. Il maggiore attivismo di Mosca si estende anche al continente africano, dove si registra una maggiore presenza di unità del gruppo Wagner, una compagnia privata operante nel settore della sicurezza con forti legami con il Cremlino. Le forze della Wagner svolgono un ruolo sempre più evidente anche in Libia.

Il vertice di Madrid ha infine messo in evidenza un ulteriore rischio legato ai valori su cui si basa la comunità transatlantica. È necessario infatti osservare che la Turchia ha ostacolato l’ingresso della Svezia e della Finlandia nell’Alleanza. Per l’accesso di nuovi membri è necessario un voto all’unanimità da parte di quelli attuali. Il governo di Ankara ha tuttavia inizialmente rifiutato di dare il proprio assenso e ha richiesto concessioni significative e controverse come condizione per un voto favorevole. In particolare, i leader turchi sostengono che i governi svedese e finlandese siano troppo attivi nel sostenere organizzazioni “terroriste” curde – fra cui le autorità turche includono anche le milizie che hanno combattuto con successo l’Isis in Siria al fianco dell’Occidente – e permissivi nel concedere protezione a individui che il governo di Ankara identifica come “terroristi”. Tra questi figurano giornalisti, dissidenti e attivisti curdi. Questo stallo sembra essere stato risolto con un accordo con cui i governi di Svezia e Finlandia si sono impegnati a collaborare più proficuamente nell’esaminare le richieste di estradizione da parte di Ankara e hanno acconsentito a rimuovere alcune restrizioni alle vendite di armi verso la Turchia.

Negoziati tra i rappresentanti di Svezia, Finlandia e Turchia durante il vertice di Madrid. Fonte: Nato.

Ankara ha un valore strategico di primo piano per l’Alleanza atlantica, sia come corridoio energetico per gli approvvigionamenti dell’Europa occidentale, sia per la possibilità che il territorio turco offre in termini di basi e di posizionamento delle risorse militari Nato in teatri chiave come il Mediterraneo del sud-est e il Medio Oriente. La Turchia ha inoltre il controllo degli stretti che collegano il Mar Nero al Mediterraneo, e svolge dunque un ruolo fondamentale nel regolare il passaggio delle navi Russe fra questi due teatri. Il governo di Ankara ha inoltre ottenuto seri progressi nei negoziati volti a garantire un ripristino del flusso di esportazioni di prodotti agricoli dall’Ucraina. Tuttavia la Turchia sta vivendo un significativo regresso in termini di solidità delle istituzioni democratiche, inasprito tra l’altro da una situazione di crescente fragilità economica, e il presidente Recep Tayyip Erdoğan sta da tempo adottando uno stile sempre più populista e autoritario.

La Turchia tra Mediterraneo e Mar Nero. Fonte: Wikimedia Commons.

Le esigenze geopolitiche e militari dell’Alleanza atlantica hanno costantemente reso necessari dei compromessi e si può sostenere che la condizione di Stato membro della Nato può avere nel lungo periodo un effetto di “ancoraggio” e favorire l’instaurazione o il consolidamento delle istituzioni democratiche. Tuttavia, il fatto che un governo caratterizzato da tendenze sempre più repressive e autoritarie possa fare ostruzionismo e richiedere controverse concessioni in cambio del proprio assenso all’ingresso nella Nato di due paesi che vantano delle eccellenti credenziali di democrazia, trasparenza e rispetto dei diritti umani rappresenta un rischio interno all’Alleanza che gli Stati membri non devono sottovalutare. È bene ricordare in tal senso che il nuovo concetto strategico segnala la preoccupazione per l’ascesa di “attori autoritari” e che il trattato su cui si fonda la Nato – il già citato trattato dell’Atlantico del Nord – contiene nel preambolo l’impegno a proteggere i valori di democrazia, libertà individuali e Stato di diritto.

La guerra in Ucraina sembra aver consolidato il legame transatlantico e ridato alla Nato un senso di coesione e unità d’intenti che si era in qualche modo offuscato nell’era post-Guerra fredda. L’Alleanza continua inoltre ad espandersi e ad acquisire nuovi membri molto rilevanti dal punto di vista geopolitico. Paradossalmente, come notato dal segretario generale dell’Alleanza, Jens Stoltenberg, se l’obiettivo di Putin nell’invadere l’Ucraina era quello di avere “meno Nato al confine”, il risultato è stato l’opposto. Sebbene l’Alleanza atlantica abbia dimostrato ancora una volta di essere un pilastro decisivo per la sicurezza dell’Occidente, l’attuale situazione non lascia margini per l’autocompiacimento. Il conflitto ucraino rimane un test molto delicato per le risorse e i valori della comunità transatlantica. Per di più, la guerra sta avendo effetti collaterali anche su teatri – come il Mediterraneo e il Medio Oriente – che potrebbero a prima vista sembrare distanti dall’arena in cui si sta consumando la tragedia, ma che sono tuttavia ad essa collegati attraverso numerosi canali.

Diego Pagliarulo