La sicurezza marittima nel Golfo dopo l’accordo tra Riad, Teheran e Pechino

Il 10 marzo scorso è stato firmato uno storico accordo tra Arabia Saudita e Iran grazie alla mediazione della Cina, che negli anni ha mantenuto un dialogo costante e ottime relazioni con entrambi i paesi. Nella dichiarazione siglata, Riad e Teheran, competitor per la leadership religiosa e regionale dal 1979, si sono impegnati a ristabilire le relazioni diplomatiche interrotte nel 2016. I due paesi hanno ripristinato gli impegni stabiliti nel General Agreement for Cooperation in the Fields of Economy, Trade, Investment, Technology, Science, Culture, Sports and Youth 1419/2/2, firmato nel maggio 1998, e nell’accordo sulla sicurezza 1422/1/22, firmato nell’aprile 2001.

Bandiere di Iran e Arabia Saudita. Fonte: Moderndiplomacy.eu

Alla dichiarazione hanno fatto seguito diverse conversazioni telefoniche e una visita a Pechino del ministro degli Affari Esteri saudita, Faisal bin Farhan al-Saud, e del suo omologo iraniano, Hossein Amir Abdollahian, il 6 aprile scorso. Durante il colloquio, i due ministri hanno concordato la ripresa dei voli diretti tra i paesi e degli incontri bilaterali di delegazioni istituzionali e del settore privato. Si è discusso inoltre di procedure più agevoli per il rilascio dei visti per l’hajj (pellegrinaggio) ai musulmani sciiti iraniani in Arabia Saudita e la riapertura delle rispettive ambasciate a Riad e Teheran e dei consolati a Gedda e Mashhad.

In questo quadro, si inserisce anche la notizia secondo cui l’Iran vorrebbe istituire una joint maritime coalition sotto la supervisione della Cina, con il fine di rafforzare la cooperazione con il vicinato per la sicurezza delle acque del Golfo e dell’Oceano Indiano. Questo obiettivo è stato ribadito anche in occasione della recente visita del ministro degli Affari Esteri Faisal al-Saud a Teheran lo scorso 17 giugno.

La coalizione marittima sarebbe composta da Iran, Arabia Saudita, Bahrain, Qatar, Iraq, India, Pakistan, Oman ed Emirati Arabi Uniti (EAU) e secondo alcuni analisti potrebbe ridurre il peso geopolitico degli Stati Uniti nella regione, processo già avviato con il ritiro delle truppe statunitensi dal teatro afgano. Questa coalizione determinerebbe quindi un maggiore controllo regionale-interno e accrescerebbe l’influenza di Pechino nello spazio marittimo del Golfo. A supporto di tale tesi ci sarebbe infatti il ritiro degli Emirati Arabi Uniti da alcune operazioni militari delle Combined Maritime Forces (Cmf) a guida statunitense e con base in Bahrain, la cui notizia è stata resa nota pochi giorni dopo la sigla dell’accordo tra Riad e Teheran. La ragione del ritiro emiratino sembrerebbe dovuta alla generale insoddisfazione per le operazioni Cmf congiunte che non avrebbero garantito la sicurezza nelle acque del Golfo, fungendo da deterrente contro gli attacchi del Corpo delle Guardie della rivoluzione islamica (Irgc) alle navi cargo commerciali che transitano nello Stretto di Hormuz. Pertanto, ricercare una collaborazione diretta con il “nemico numero uno”, ovvero l’Iran come considerato dagli Stati Uniti, permetterebbe alle monarchie del Golfo di risolvere la causa principale dell’insicurezza marittima.

Infine, a favore di questa tesi alcuni osservatori annoverano l’operazione navale congiunta di Russia, Iran e Cina, la “Maritime Security Belt 2023”, condotta tra il 15 e il 18 marzo scorso a largo delle coste omanite e iraniane.  Oltre a segnare un reale interesse dell’Iran ad essere maggiormente coinvolto in operazioni marittime che riguardano il Golfo, la cooperazione segnerebbe la presenza e l’interesse della Cina per la sicurezza dello spazio marittimo e delle rotte commerciali della regione. La joint maritime coalition comprende, infatti, tutti i paesi della Maritime Silk Road di Pechino, il progetto strategico cinese volto a sviluppare la connettività delle infrastrutture e delle rotte commerciali dal Mar cinese meridionale fino a Nordafrica ed Europa.

Carta geografica delle Silk Road cinesi. Fonte: chinadiscovery.com

Tuttavia, rispetto a quanto sostenuto da questi analisti, bisogna considerare la forte e storica presenza militare statunitense nelle acque del Golfo e il considerevole export di sistemi d’arma verso i paesi della regione. Gli Usa stabilirono il quartier generale delle Middle East Forces (Mef) in Bahrain nella seconda metà del Novecento e negli anni Settanta fondarono il Naval Forces Central Command (Navcent), con l’obiettivo di garantire la sicurezza marittima regionale. Nel 1983 alla Navcent si aggiunse la Quinta Flotta, a cui fu delegato il controllo delle operazioni congiunte tra le diverse flotte navali nella regione. Infine, nel 2002 fu istituita la Cmf, coalizione navale composta da partner regionali e internazionali che tuttora è impegnata nella promozione del diritto internazionale e nella garanzia della prosperità e della sicurezza, contrastando le attività eversive di attori non statali sulle rotte marittime regionali.

La cooperazione tra la Cmf e le monarchie del Golfo nelle operazioni congiunte si è sempre fondata sulla garanzia del libero commercio delle commodity e dell’operatività delle infrastrutture energetiche. Obiettivi che hanno reso necessario negli anni un ampliamento di competenze, abilità e il progressivo ammodernamento dei sistemi d’arma delle forze navali regionali. Anche negli ultimi anni l’export delle armi Usa ha interessato i paesi del Golfo: tra questi i principali destinatari sono Arabia Saudita (29%), Kuwait (28%) e Qatar (27%).

Export di armi dagli Usa (2021-2022) – Paesi di destinazione nel Golfo. Dati estratti da SIPRI Arms Transfers Database | SIPRI

Inoltre, in antitesi con quanto dichiarato dagli analisti sul recente interesse della Cina nelle operazioni marittime congiunte, sarebbe opportuno fare riferimento alle diverse missioni antipirateria nel Golfo dell’Aden e nell’Oceano Indiano a partire dai primi anni Duemila, necessarie a garantire gli interessi economici e militari di Pechino in Africa e in Asia. Proprio nel 2003 la Cina fu coinvolta dagli Usa nella Container Security Initiative e nella U.S. Coast Guard (USCG) and Megaports/Secure Freight Initiative, che hanno gettato le basi per una cooperazione di lungo periodo in materia di sicurezza di porti e container tra Mar Rosso, Bab el-Mandeb e Golfo di Aden. Inoltre, è dal 2008 che la Cina è impegnata nelle operazioni antipirateria insieme alle altre flotte navali internazionali e regionali per garantire maggiore stabilità e sicurezza marittima.

Infine, oltre a questi indicatori, non sono da escludere importanti elementi che potrebbero compromettere concretamente la realizzazione della coalizione marittima del Golfo supervisionata dalla Cina, ovvero le numerose questioni conflittuali aperte tra Arabia Saudita e Iran, per cui si spiegherebbe la cautela adottata dai Saud nella divulgazione di notizie e comunicati ufficiali circa l’effettiva apertura della sede diplomatica saudita a Teheran. Tra le questioni aperte vi sono proprio gli attacchi operati dalle Irgc alle navi cargo commerciali delle monarchie del Golfo, che si reiterano tuttora nonostante la firma del memorandum d’intesa. Sarebbe quindi complicato immaginare una effettiva realizzazione della coalizione marittima congiunta tra i paesi del Golfo e dell’Oceano Indiano data la minaccia iraniana ancora attuale, che rende di fatto insicuro il contesto e rafforza l’importanza della presenza e delle operazioni congiunte internazionali e regionali.

Cmf e Royal Bahrain Naval Force durante l’esercitazione New Horizon nel Golfo, 2021. Fonte: navy.mil

In conclusione, la tesi che vede nell’accordo stipulato tra Arabia Saudita e Iran una riduzione del potere geopolitico degli Usa nello spazio marittimo del Golfo non sembrerebbe essere supportata dalle evidenze. La coalizione marittima regionale ricercata dall’Iran non ha le basi per poter essere ancora sviluppata, il ritiro degli Emirati Arabi Uniti dalle operazioni della Cmf non implica la rinuncia alla membership all’interno della stessa, l’export di armi lega ancora notevolmente i paesi del Golfo agli Usa e l’accordo tra Arabia Saudita e Iran non ha favorito la presenza cinese nelle acque del Golfo, giacché presente dai primi anni Duemila. Tuttavia, su quest’ultimo punto si potrebbe affermare che una maggiore collaborazione tra Cina e paesi del Golfo potrebbe avere delle implicazioni per gli Usa, qualora il numero di esportazioni di armi dalla Cina alle petromonarchie aumentasse e se alle operazioni congiunte nel Golfo, per ora ancora sporadiche, si sommassero anche investimenti in infrastrutture e impianti logistici nelle zone portuali, adibiti ad uso non solo civile – come attualmente accade a Fujairah e Khalifa Port negli Eau e a Duqm in Oman, ma anche militare.

Maria Grazia Stefanelli