La Siria tra potenze globali, attori regionali e gruppi estremisti

Con lo scoppio della guerra in Ucraina, la situazione in Siria è tornata di attualità, visto che la Russia è la principale grande potenza coinvolta nella guerra civile siriana iniziata nel 2011. In particolare, si potrebbe paragonare la distruzione della città siriana di Aleppo al destino simile toccato a Mariupol, in Ucraina. Entrambe le città sono state, infatti, bersaglio di intensi bombardamenti russi.

In effetti, negli ultimi anni è cresciuta l’importanza del Medio Oriente per la Russia, poiché la regione è stata vista come un campo di battaglia fondamentale su due questioni che riguardano, agli occhi del Cremlino, lo status internazionale della Russia: stabilire i principi guida dell’ordine globale e preservare la centralità della Russia nella regolamentazione dei conflitti internazionali. Entrambi gli aspetti hanno giocato un ruolo chiave nel posizionamento della Russia sulla Siria e sono stati perseguiti dalla leadership russa in diversi modi.

Due carri armati distrutti davanti alle rovine di una moschea ad Azaz, in Siria. Una battaglia tra l’Esercito nazonale siriano (allora noto come Free Syrian Army, FSA) e il governo di Damasco è stata combattuta per il controllo della città di Azaz, a nord di Aleppo, durante la guerra civile siriana. L’Esercito nazonale siriano ha vinto la battaglia di Azaz del 2012, affermando di aver distrutto 17 carri armati governativi. Fonte: Wikimedia Commons.

Il conflitto siriano dura ormai da più di 11 anni. Prima dello scoppio della guerra civile il paese era governato dalla dinastia Al-Assad, salita al potere negli anni Settanta sulla base dell’ideologia nazionalista araba portata avanti dal partito Ba’th. La Siria degli Assad, pur essendo un regime autoritario, si è sempre basata su una forma di Stato unitaria con un presidente, un Parlamento e un sistema multipartitico.

Come noto, nella guerra civile siriana il regime di Damasco, guidato da Bashar al Assad, è riuscito a sopravvivere attuando una repressione violenta delle proteste della popolazione nel 2011. Assad ha potuto fronteggiare i diversi gruppi ribelli, armati e non, anche per il sostegno economico e militare proveniente da diversi paesi, come la Russia e l’Iran, e da attori non-statali, come il partito e milizia libanese Hezbollah. Grazie a questo sostegno, il governo di Damasco ha riconquistato il controllo della maggior parte del territorio siriano perso dopo lo scoppio della rivoluzione nel 2011.

I legami attuali tra la Siria e l’Iran si sono creati durante la guerra tra Iran e Iraq (1980-1988). Il regime di Teheran decise infatti di sostenere il Ba’th siriano, guidato da Hafez al Assad (il padre di Bashar, attuale leader di Damasco), poiché questo era in una situazione di rivalità con il Ba’th iracheno guidato da Saddam Hossein – originariamente tutti e due facenti parte del movimento Ba’th (“Risorgimento”), di ispirazione pan-arabista. Il Ba’th ha filiali in molti paesi del Medio Oriente ed è stato il partito al governo in Siria a partire dal 1963 e in Iraq dal 1968 al 2003 – anno dell’invasione USA nel paese.

Le forze siriane sono state a lungo presenti anche in territorio libanese, in contrapposizione all’invasione del Libano da parte di Israele (nel 1982) e nel quadro più generale della rivalità tra Israele e molti paesi arabi. Ad oggi una parte del territorio siriano – le alture del Golan – è occupato da Israele, come conseguenza della Guerra dei sei giorni del giugno 1967. L’occupazione israeliana di questo territorio, chiamato dal governo israeliano ‘”distretto settentrionale”, non ha mai avuto il riconoscimento da parte della comunità internazionale.

Le alture del Golan. Fonte: Wikimedia Commons.

Le sfide per il regime di Damasco sono aumentate esponenzialmente con lo scoppio della guerra civile siriana. Oltre alla minaccia interna contro il regime, la guerra civile ha attirato anche il coinvolgimento di altre potenze regionali, come la Turchia di Recep Tayyip Erdoğan. Il governo di Ankara vede infatti la questione curda come un interesse vitale di sicurezza nazionale, e si è dimostrato determinato a intervenire in territorio siriano per contrastare le attività del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk).

Lo scoppio delle rivolte arabe nel 2011 ha indotto anche i paesi del Golfo Persico ad adottare politiche assertive senza precedenti in Medio Oriente. La maggior parte degli Stati del Consiglio di cooperazione del Golfo (Gulf Cooperation Council, Gcc) ha chiesto con forza il rovesciamento del regime di Assad in Siria, vedendo un’opportunità per ridurre l’influenza iraniana nella regione. Ma con l’avanzare del conflitto, le diverse priorità e i calcoli a volte contrraddittori di questi paesi sono diventati evidenti, in particolare a seguito dell’ascesa del gruppo estremista radicale Isis (noto come “Stato islamico”).

In pochi anni anni dallo scoppio della guerra civile il territorio siriano è diventato un teatro di guerra per procura tra Turchia, Arabia Saudita e Qatar. Queste potenze regionali hanno finanziato e armato i ribelli, mentre il governo di Damasco ha continuato a ricevere armi dall’Iran e dal gruppo militante libanese Hezbollah.

L’espansione dell’Isis, in particolare nella Siria orientale, ha ulteriormente favorito l’internazionalizzazione della guerra civile, spingendo all’intervento militare sia potenze globali (la Russia, la Francia, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna) che regionali (l’Iran, il Libano, l’Arabia Saudita, il Bahrein, la Turchia, gli Emirati Arabi Uniti e Israele).

Questi interventi militari internazionali hanno condotto alla distruzione dello “Stato islamico” – che ha progressivamente perso i territori di cui aveva precedentemente assunto il controllo. Questa dinamica è divenuta di fatto irreversibile a seguito dell’uccisione del leader dell’Isis Abu Bakr Al-Baghdadi nel corso di un’operazione eseguita dalle forze speciali statunitensi nel nord-ovest della Siria il 27 ottobre 2019.

Una mappa della guerra civile siriana nel 2018. Fonte: Wikimedia Commons.

Nonostante la maggior parte del territorio siriano sia ormai sotto il controllo del governo di Assad, diverse zone sono sotto il controllo o l’influenza di potenze, come la Turchia, la Russia, gli Stati Uniti e i loro alleati e l’Iran, o di attori non statali, come le Forze democratiche siriane, milizie sciite, gruppi jihadisti e gruppi influenzati dalla Turchia. Tra gli attori non statali coinvolti nel conflitto esistono anche diversi gruppi armati, alcuni con idee estremiste che rappresentano una minaccia non solo per la popolazione siriana, ma anche per la sicurezza internazionale. La guerra siriana ha, infatti, favorito il proliferare di diversi gruppi radicali che ad oggi sono attivi nel territorio siriano e continuano a compiere quotidianamente violenze tra la popolazione.

Tra i gruppi ribelli ed estremisti più attivi si può citare l’Hayat Tahrir al-Sham (Hts), che è stato costituito in Siria nel 2011 come affiliato di al-Qaeda contro il regime di Assad. L’attuale leader dell’Hts, Abu Mohammed al-Golani, sta cercando di aumentare il sostegno popolare al gruppo nella zona di Idlib. Golani ha dichiarato che, dopo aver cambiato il suo approccio jihadista e liberato la sua organizzazione dai jihadisti più estremi, vuole cercare di presentarsi al mondo come leader di un partito moderato che tenga conto degli interessi di tutti nella regione. Altri gruppi da segnalare sono il Fronte di liberazione nazionale, Hurras al-Din (un ramo dell’Hts) e il gruppo di estremisti violenti di matrice religiosa islamista sunnita Rmve, fondato a Idlib all’inizio del 2018 come parte della rete globale di al-Qaeda. Abu Khaled al-Halabi, uno dei capi militari dell’Hts ha invece ha dichiarato in una intervista rilasciata ad Al-Monitor che il suo gruppo è ora anche pronto ad affrontare le forze del regime e la Russia, menzionando anche le sue preoccupazioni riguardo la guerra in Ucraina.

Esistono anche altri gruppi come Failaq al-Rahman, Jaish al-Islam, i movimenti Harakat Nour al-Din al-Zenki, Harakat Hezbollah al-Nujaba e Harakat Ahrar al-Sham al-Islamiyya e l’Unità di protezione del popolo curdo (Ypg) del nord-est della Siria presente nel Rojava.

Combattenti curdi delle Ypg, febbraio 2018. Fonte: Wikimedia Commons.

Vi è inoltre il Fronte al-Nusra, affiliato ufficiale di al-Qaeda in Siria (noto anche come Jabhat Fateh al-Sham o “Fronte di conquista levantino”), un gruppo terroristico sanzionato a livello internazionale. Si tratta del secondo gruppo di ribelli più forte in Siria dopo l’Isis, ben equipaggiato e particolarmente attivo nel nord della Siria. Anche un’affiliato di Hts, Hurras al-Din, mantiene una importante presenza nell’area.

L’altra forza significativa è il Fronte di liberazione nazionale (Fln), parte dell’Esercito nazionale siriano (un gruppo ribelle sostenuto dalla Turchia), che è stato formato nel 2018 da fazioni ribelli che volevano contrastare l’Hts. Il Fronte è un’alleanza che include Ahrar al-Sham, un gruppo islamista radicale, così come tanti altri gruppi che hanno partecipato al conflitto sotto l’ombrello del “moderato” Esercito nazionale siriano. Nel 2019, il Fronte di liberazione nazionale ha perso la maggior parte dell’area sotto il proprio controllo nel nord della Siria a favore dell’Hts dopo che sono scoppiati i combattimenti tra i due gruppi. Gli scontri si sono conclusi a seguito di un accordo che riconosce l’amministrazione sostenuta dall’Hts: da allora i due gruppi hanno combattuto insieme contro i recenti assalti del governo di Damasco.

In tutto ciò la guerra in Ucraina ha aperto un nuovo capitolo nelle tensioni tra Stati Uniti e Russia sul territorio siriano, coinvolgendo anche altre potenze regionali. Gli attacchi aerei di Mosca hanno colpito anche le basi dei gruppi ribelli alleati degli Usa. Il presidente Turco Erdoğan ha annunciato una nuova offensiva militare in Siria contro il Pkk. La Russia ha ceduto postazioni siriane all’Iran in Siria e Israele ha bombardato le postazioni di Teheran nei pressi dell’aeroporto di Damasco.

Shirin Zakeri

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