Libia: la crescita della presenza russa e la sfida per l’Occidente

Come evidenziato in passato, negli ultimi anni la presenza e l’influenza della Federazione russa in Libia sono cresciute in maniera esponenziale, in particolar modo per ciò che concerne i settori della difesa e della sicurezza. Nella corsa al raggiungimento dei suoi obiettivi – su tutti, aumentare la sua ascendenza e indebolire quella occidentale –, Mosca ha usato attori che fino a poco tempo fa venivano etichettati come “privati” ma di fatto legati al Cremlino. Infatti, se fino all’estate del 2023 si parlava di Gruppo Wagner, dalla morte delle due persone considerate i fondatori dell’entità paramilitare, ossia Yevgeny Prigozhin e Dmitry Utkin, entrambi morti in un incidente aereo, oggi, quando ci si riferisce alla presenza militare russa nel continente africano, si parla di Africa Corps. Questo è il nome “semiufficiale” di una struttura paramilitare creata dal Ministero della Difesa russo e, in una certa misura, già da Prigozhin. In tal senso, la “trasformazione” da Wagner ad Africa Corps segna anche una nuova fase nell’esportazione di sicurezza russa nel continente africano: nel passaggio al nuovo stato, l’informalità lascia spazio all’ufficialità, mentre rimangono intatti modalità e obiettivi.

Africa Corps. Fonte: AlMashhad

Considerando il continente nero una delle priorità della politica estera russa, il presidente Vladimir Putin cerca, da una parte, di approfondire a tal punto le relazioni con i paesi coinvolti da renderli dipendenti dalle risorse militari fornite e, dall’altra, di accedere alle risorse africane, prendendo di mira paesi che hanno governi fragili ma sono spesso ricchi di materie prime importanti. L’impiego di forze militare ha come obiettivo dichiarato quello di porre fine ai complessi conflitti civili e politici presenti nei paesi africani. La strategia utilizzata nei vari contesti è quella di offrire ai governi in difficoltà – o alle fazioni più propense ad un soccorso russo – di condurre operazioni militari contro il rivale locale senza nessuno tipo di vincolo dal punto di vista dei diritti umani e, così facendo, di consentire un’azione decisiva nei loro sforzi di conquista del potere. In sostanza, supportare il regime senza riguardo per le vittime civili, le responsabilità e il pluralismo politico. A sua volta, la Russia chiede il pagamento in concessioni per risorse naturali, contratti commerciali sostanziali o accesso a infrastrutture strategiche, come porti e aeroporti. Al contempo, Mosca è arrivata in quei luoghi dove gli attori occidentali hanno distolto lo sguardo negli ultimi anni, tra questi la Libia.

La posizione geostrategica della Libia sulla sponda sud del Mediterraneo e la sua ricchezza in termini di risorse naturali interessano molto alla Russia. La presenza militare russa nella regione mediterranea, ad oggi, non può evidentemente competere con le forze permanenti della Nato e quelle degli Stati Uniti, tuttavia con l’entrata sulla scena libica la Russia, attraverso il Gruppo Wagner, ha schierato delle unità in Libia dalla fine del 2018 a sostegno del feldmaresciallo Khalifa Haftar, capo dell’autoproclamato Esercito nazionale libico (Lna). Il gruppo Wagner (ora Africa Corps) ha fornito – e continua a farlo ancora oggi – consulenza, assistenza e capacità di addestramento e ha aiutato l’uomo forte della Cirenaica ad espandere la sua influenza sul territorio e a prendere il controllo di alcuni giacimenti petroliferi. Nell’ex colonia italiana, il passaggio da Wagner ad Africa Corps è avvenuto alla stessa maniera degli altri contesti in cui le forze russe operano: rebranding, nuovi contratti con il Ministero della Difesa russo e parziale sostituzione del gruppo dirigente.

Incontro tra il presidente russo Vladimir Putin e il presidente del Consiglio presidenziale libico, Mohamed Yunus al-Menfi, durante il vertice Russia-Africa nel luglio del 2023. Fonte: Kremlin.ru

Dallo scoppio del conflitto in Ucraina, il Cremlino ha dato il via a una serie di iniziative volte a modificare lo status quo vigente in Libia, dove la “linea rossa” di Sirte ha mantenuto vivo fino ad oggi l’accordo di cessate il fuoco tra le due fazioni rivali libiche. Negli ultimi mesi, infatti, sono state diverse le occasioni che hanno visto protagonista il dialogo tra il Cremlino e la fazione orientale libica, guidata da Haftar. Diverse inchieste, su tutte quella di All eyes on Wagner, hanno riportato un numero significativo di nuovi combattenti russi arrivati nel sud della Libia negli ultimi mesi – che si sono uniti a quelli già presenti nel paese nordafricano, per un totale di circa 1.800 unità – con alcuni di loro destinati al Niger e il resto ai punti strategici della Cirenaica. Inoltre, da qualche anno, è riportata la notizia di un progetto per la costruzione di una base nevale sulle coste libiche orientali, a Tobruch, sulla falsa riga di quella creata a Tartus, in Siria. Nel mese di aprile 2024, una nave scortata dalla marina russa ha attraccato al porto libico in questione e ha scaricato circa sei mila tonnellate di materiale militare: da radar e strumenti di comunicazione ai carri armati T-72 e veicoli APC Tiger. Oggi, la presenza russa in Libia è localizzata in alcuni punti specifici, tra questi: Tobruch, base militare di Brak al-Shati (nel sud), base militare di al-Jufra, base aerea di al-Qardabiya.

Sebbene l’ambasciatore russo in Libia, Aydar Aganin (ex direttore del canale in arabo di RT), abbia confermato la presenza militare russa nella regione orientale e meridionale del paese maghrebino, lo stesso ha tenuto a precisare – durante un’intervista rilasciata all’emittente libico Libya Al-Ahrar – che questa è stata decisa in coordinamento con le autorità ufficiali libiche: la Camera dei Rappresentanti e il Comando generale di Haftar. Al contempo, il diplomatico russo ha voluto sottolineare come le notizie che girano sui media occidentali di un rafforzamento della presenza russa siano false e miranti a intimorire l’opinione pubblica. Tuttavia, è evidente la volontà del Cremlino di aumentare il proprio peso in Libia. Lo si evince anche dal tentativo di consolidare il dialogo con l’amministrazione occidentale: il 13 maggio scorso, infatti, il vicepresidente del Consiglio presidenziale, Abdullah Al-Lafi (rappresentante della Tripolitania all’interno dell’organo), il ministro degli Esteri ad interim del Governo di unità nazionale (Gnu) di Tripoli, Taher Al-Baour, e il capo di stato maggiore delle forze occidentali, Mohammed Al-Haddad, si sono recati in missione a Mosca dove hanno incontrato il ministro degli Esteri russo, Sergey Lavrov. I colloqui avrebbero avuto al centro i dossier di sicurezza e militari in Libia, ma anche quelli economici ed energetici. La missione “occidentale” libica arriva poco dopo quella di Khaled Haftar, figlio del feldmaresciallo, recatosi in Russia il 7 maggio e ricevuto da Mickail Bogdanov, vice ministro degli Esteri e inviato speciale per il Medio Oriente e il Nord Africa del presidente Putin. La visita di quest’ultimo rientrava nel più ampio quadro delle relazioni tra la famiglia Haftar e gli alleati russi, anche in vista del prossimo passaggio generazionale.

Il video dell’intervista rilasciata dall’ambasciatore russo in Libia, Aydar Aganin, all’emittente libico Libya Al-Ahrar.

Nonostante le smentite, è chiaro come sia in corso una battaglia, per il momento diplomatica, sullo scacchiere libico. Infatti, in concomitanza con le visite su riportate, la premier del governo italiano, Giorgia Meloni, si è recata in Libia dove ha incontrato sia il primo ministro del Gnu, Abdulhamid Dbeibah, a Tripoli, sia il generale Haftar, a Bengasi. Secondo i media, con quest’ultimo la Meloni avrebbe sollecitato la fuoriuscita dei militari russi dal paese nordafricano; tuttavia, ad oggi, non sembra ci siano le condizioni politiche per una richiesta così “pesante”: l’Italia rappresenta sì l’unico paese occidentale con un certo ruolo in Libia, ma in aperto contrasto con Turchia, Egitto e Russia, il cui ruolo pesa soprattutto per la sopravvivenza del cessate il fuoco tra le due fazioni libiche rivali. Un gioco che vede la partecipazione, nonostante le evidente difficoltà, anche dell’Unione europea. Dbeibah si è infatti recato a Bruxelles, recentemente, dove ha incontrato la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen. Sebbene entrambi i meeting, quello con la Meloni e quello con la von der Leyen, fossero in realtà incentrati sui dossier migratorio ed energetico, tanto cari a Italia e Ue, gli eventi dimostrano come l’ex colonia italiana sia teatro dello scontro in corso a livello internazionale. In questo gioco entrano anche, per forza di cose, gli Stati Uniti. Dopo anni di delega ai paesi europei, e in seguito allo scoppio della guerra in Ucraina, Washington sembra aver riacquistato un certo interesse sul dossier libico, evidentemente in chiave anti-russa.

La premier italiana, Giorgia Meloni, e il generale libico, Khalifa Haftar. Fonte: Governo.it

Le difficoltà degli attori occidentali di svolgere un ruolo determinante in questo decennio di crisi libica hanno lasciato uno spazio che altri attori sono riusciti a colmare e dal quale sono emerse evidenti minacce al ruolo e alla sicurezza dei paesi europei e agli interessi degli Stati Uniti e della Nato più in generale. A ciò si aggiunge che il fallimento di tutte le iniziative occidentali intraprese al fine di risolvere il complicato puzzle libico ha contribuito a trasmettere ad altri player il messaggio che azioni unilaterali in contrasto con le risoluzioni delle Nazioni unite possono essere perseguite impunemente: basti notare l’aperta violazione da parte di Russia, Turchia ed EAU dell’embargo militare imposto dall’Onu in Libia dal 2011(da tutti considerato inefficace). Inoltre, l’aumento del traffico di armi è causa della sempre maggiore instabilità nella regione saheliana. Infatti, i conflitti presenti nei paesi vicini hanno dato nuova linfa al contrabbando di armi da e verso la Libia. Il collegamento tra la Libia e le Forze di supporto rapido (Fsr) del Sudan è solo uno degli esempi che può essere citato: le Fsr ricevono sostegno militare delle milizie affiliate ad Haftar e sono sostenute, sebbene non ufficialmente, dagli EAU, che a loro volta sostengono l’uomo forte della Cirenaica. Di fatto, negli anni, la Libia è diventato il trampolino di lancio per molti attori intenzionati ad espandere la propria influenza anche in altri contesti. Così anche la Russia di Putin utilizza l’accesso al territorio libico, come detto precedentemente, per gestire reti più ampie che si estendono fino ai paesi subsahariani.

Per concludere, bisogna sottolineare come in questo caos ci sia un solo perdente: la Libia. Mentre i diversi attori lavorano per tutelare i propri interessi e aumentare la propria influenza, il paese nordafricano non riesce a trovare una strada sicura per la fine di un’instabilità che ormai è diventata normalità nell’era post-Gheddafi. L’ex Jamāhīriyya continua la sua vita da Stato diviso in due amministrazioni, con gran parte del sud lasciato in balia dei diversi gruppi che gestiscono il contrabbando transfrontaliero. Al contempo, l’attenzione viene attirata dal comportamento della comunità internazionale: i principali paesi dialogano con entrambi i “governi” su tutti i dossier (energetico, migratorio, culturale, economico e così via), come se si avesse a che fare con due Stati diversi. Lo status quo viene quindi accettato fin quando gli interessi sono garantiti, tuttavia appena intervengono cambiamenti (esempio: aumento interessi russi), la Libia ritorna ad essere un “dossier strategico” sui diversi tavoli politici internazionali. La soluzione sta nella stabilizzazione della Libia. Contrastare l’influenza di altri attori dovrebbe rientrare nel più ampio processo diretto alla fine della crisi e non essere l’unico obiettivo. In tal senso, un necessario cambio di passo da parte della comunità internazionale (occidentale) è opportuno nell’ottica di un miglioramento delle proprie aspettative, ma anche per non subire ulteriori danni reputazionali, viste le già chiare difficoltà di dialogo con la maggior parte delle società civili della regione. A ciò si aggiunge che una Libia stabile e unita potrebbe svolgere un ruolo chiave nel Mediterraneo ed essere un potenziale alleato per i paesi occidentali nello scontro politico-economico con Russia e Cina.

Mario Savina